DANIELA PELLEGRINI (cicip@libero.it) Io sono una 'vecchia scarpona del movimento
delle donne' (femminismo, come tutte le parole
in 'ismo', non mi é mai piaciuta) e sono
del '37 ! Sono stata anche una donna in carriera
(dirigente oltremodo pagata) ma ho mollato
tutto per la politica delle donne. Ho fondato
il primo gruppo di donne nel 1965 (si chiamava
Demau = demistificazione autoritarismo patriarcale)
Nel 1981 ho aperto con Nadia Riva il Circolo
Culturale e Politico delle Donne Cicip &
Ciciap in via Gorani 9 a Milano e sono stata
editrice della rivista 'Fluttuaria - segni
di autonomia nell'esperienza delle donne'.
Stiamo organizzando il secondo round di un
convegno tenutosi nel giugno 2001 sull'"agire
delle donne" dentro e fuori dalle istituzioni.
Ho inoltre in cantiere un lavoro su "il
maschile nel 2000, ovvero il 'logos' della
globalizzazione". E' un' analisi su
quello che continua ad essere il fondamentalismo
sessuato della cultura: il maschile contrapposto
al femminile.
Daniela (14 maggio 2005)
Nella specie umana la procreazione è un fatto
essenzialmente sociale.
La ³natura² istintuale è stata celata e stravolta
da imperativi culturali e di esercizio di
potere: alcuni filosofi attualmente lo chiamano
"bio-potere" (Foucault)
Un bio- potere che ha preso l¹avvio sulla
coercizione delle libere e autentiche sessualità
umane (da Freud definite multiformi e perverse)
per piegarle a scopi riproduttivi , lavorativi
, e di rigido controllo sociale.
Nell¹ambito generale della "migrazione"
della sessualità verso l¹eterosessualità
e la famiglia monogamica, quello delle donne
è stato il percorso più coatto perché finalizzato
alla procreazione come unica espressione
e finalità della loro sessualità.
Un adeguamento alla sessualità del corpo
maschile che nell'uso penetrativo del pene
fa coincidere sessualità e procreazione.
Nell'anatomia del corpo delle donne infatti
la separazione non solo è presente, ma testimonia
la possibilità di scelta (e questo dovrebbe
servire anche al maschio se non volesse in
questo atto asservire la donna e la sua figliazione).
Lo scopo è sempre stato infatti quello di
ribadire il "potere" maschile sulla
riproduzione della specie su cui esso non
aveva controllo diretto e corporeo, rendendo
coercitiva ed unica la scelta delle donne
a produrre figli di cui potersi appropriare.
L'attuale "differenza sessuale"
è perciò il risultato di un divaricamento
estremo tra maschile e un femminile asservito
, una " mascarade" fondamentalista
, dove entrambi esibiscono, nell'ambito di
una propria autorivalutazione (e nell'ambito
della migrazione già avvenuta), un linguaggio
che ricalca quello del potere che li ha generati.
Il "potere materno" contrapposto
al "potere del fallo" : il Giano
bifronte di un potere simbolico tutto al
maschile.
E' forse per questo che le donne vogliono
generare figli ad ogni costo (fino a che
punto ce lo vogliono far credere e quante
ci si adeguano?)
Ed è per questo che la scienza degli uomini
fa di tutto perché ciò accada
Noi dovremmo sapere che la sessualità femminile
può non essere più una traiettoria il cui
fine ultimo è la maternità all'interno della
famiglia edipica.
Ha ben altri luoghi e modi con cui esprimersiS
E dovremmo interrogarci sulla progressiva
democratizzazione della sessualità e della
riproduzione, ormai inarrestabile con la
collaborazione tra capitalismo e tecnologia
medico-scientifica a scopo di potere, sfruttamento
e guadagno osando mettere in discussione
i metodi e le teorie che ci siamo date per
sostenere l'accesso e il controllo delle
donne nell'ambito di un "destino"
(??) biologico così massicciamente e culturalmente
determinato.
Solo dopo aver fatto questo potremo NOI decidere
sui nostri desideri, sui nostri desideri
di scienza e di "quale scienza"
.
Questo per dire che é soprattutto sulla pluralità
identitaria di consapevoli e autonome "libertà"
sessuali, e non sul desiderio coatto e fondamentalista
di riconoscersi nei DUE, "ruoli o mascarades",
entrambi messi in campo dal bio-potere dell'UNO
, che si può liberare il mondo e le nostre
vite, e soprattutto le donne.
Nulla infatti è cambiato: il potere maschile
spinge e facilita in ogni modo, e perciò
riconferma, il femminile nella procreazione
(si chiama non a caso assistita!) per poter
non assistere, ma appropriarsene così come
è sempre stato dei figli generati dalle donne.
E' vero, la procreazione esiste, e si dovrebbe
poterla scegliere, prima di accettarla come
unico destino (o luogo identitario) o incaponirsi
a esigerla quando questo destino non si compie
"naturalmente".
Soprattutto perché, culturalmente parlando,
"destino" e reale "desiderio"
non sono decisamente la stessa cosa per una
scelta autonoma delle donne.
Ma è una procreazione, quella assistita,
"scorporata" dalla donna stessa.
Ed é in mano e nelle teste dell'onnipotenza
maschile che tenta ancora una volta di prendere
potere sulla riproduzione della specie a
"prescindere" dalle donne e, prendendo
potere su di noi e sulla determinazione dei
nostri desideri, vuole ancora una volta sedurci
alla sua onnipotenza.
E non è un caso che tutto ciò sia sbandierato
come "dono" a favore della "coppia",
e che di fatto a soffrire pratiche invasive
e pericolose sia la salute psicofisica della
donna.
Infatti, approfittando del desiderio reso
esasperato delle donne di avere figli, oltre
a bombardarle di ormoni, se ne "usa"
l'utero come "luogo" per la produzione
di ovuli che, una volta fecondati dal "seme"
maschile vengono "scorporati" e
messi nelle mani (o nei frigoriferi!) di
chi li ha inseminati (i medici al posto e
come i padri).
Gli ovociti sono un "prodotto",
un oggetto da manipolare e vendere: l'espropriazione
continua.
Alle donne viene restituito = impiantato
solo parte dell'inseminato (due o tre ovociti,
buoni o cattivi che siano, e sempre a loro
giudizio) solo come "uteri" contenitori,
perfino quelli "in affitto"!
Come vi permettete di legiferare sui corpi
e sui desideri delle donne?
Come vi permettete di continuare a "medicalizzare"
il loro corpo e a sfruttarle ipocritamente
a vostro vantaggio, guadagno e potere?
Giù le mani!
La verità dell'oggi per me, quella che mi
sconvolge e ferisce nel profondo, quella
che mi mozza il fiato per vivere e le parole
per dirlo o dire altro dal 'Discorso' delle
specie fin qui, è che le donne ne sono, non
soltanto desolatamente succubi, ma ne rappresentano
- convinte e vogliose di essere tali - la
'seconda' parte portante e v(d)olente di
esso.
L'affermazione e la valorizzazione della
propria appartenenza al 'Due' degli umani
e della propria 'differenza' ha incupito
e stravolto il desiderio sicuramente sacrosanto
di esistenza nel mondo, perché l'ha trasformato
nella volontà di 'integrarsi' entro quello
stesso discorso, quello dell'ineluttabilità
della dualità così come si è strutturata
storicamente a tutti i livelli di senso.
Sono passati i tempi in cui il movimento
delle donne affermava che, dopo aver 'guardato'
per secoli, aveva consapevolmente 'visto'
lo scempio e l'orrore della cultura fin qui.
Compreso l'orrore di un femminile e di un
maschile affiancati e reciprocamente legittimati
dal Giano bifronte di un simbolico 'patriarcale'
e dal suo potere secolare.
Un potere e un simbolico patriarcale che
punisce le donne per le azioni e malversazioni
da lui stesso compiute su e contro di esse!
La 'femminilità', di cui le donne vanno ora
così fiere, non è soltanto il risultato dello
sguardo patriarcale che teme e vuole espellere
da sé quello che considera il proprio negativo
(il crogiuolo di insicurezza e paura di cosa
davvero esso è lo porta a differire da sé
…nella istituzionalizzazione della 'differenza'
altrui), ma è anche, e soprattutto, la terroristica
giustificazione all'autoincensamento e affermazione
di supremazia di ciò che negativo è di fatto
e che il patriarcato agisce a tutti i livelli
di senso: la violenza, la coercizione, lo
sfruttamento, la competizione, l'appropriazione
indebita, il razzismo…(Anche se ora lo si
chiama 'globalizzazione': i tutti al potere
dell'Uniformazione.)
Ora sembra che le donne siano tornate a essere
immemori di quel potere, della sua scelta,
e della coercizione entro cui esse per prime
accettano le proprie e altrui 'differenze'
e perciò continuano a sostenere e confermare
i guasti irreparabili che la dualità - ben
aldilà della spartizione di genere effettuata
- ha determinato e confermato per secoli.
Hanno così aperto nuovo e sempre più ampio
spazio all'accettazione e alla ammirazione
di sé a fianco dell'Altro. Un Altro a cui
non togliere il potere e l'autorevolezza
di sempre e a cui chiedere non solo spazio
per la propria esistenza, ma riconoscimento
e amore. E lo chiamarono 'realismo femminile'…un
realismo conservatore e perbenista, dedito
e dipendente dalla 'relazione' immutabile
dei due poli fondamentalisti.
Ben aldilà della spartizione di genere, dicevo,
perché il femminile e il maschile (natura
e razionalità, subalternità e dittatorialità,
debolezza e forza, perdente e vincente…)
rimangono i pilastri portanti di ogni tipo
di rapporto cosiddetto 'umano' e caratterizzano
ogni comportamento della specie che, evidentemente,
in questa dicotomia abnorme, tanto sapiens
non é.
Ed anche se questi 'attributi' della specie
e della sua conduzione del mondo 'sembrano'
sempre più essere a portata di mano e perciò
condivisi da maschi e femmine, ciò che continua
a fare la parte del padrone è il 'maschile',
quello culturalmente dato. Esso, e insieme
a lui il femminile, non potranno mai cambiare
nome se altro nome non avrà la civiltà di
una nuova libera specie.
L'enfatizzazione dell'Altro ha fregato le
donne, la miseria della Differenza culturale coatta le ha riinvischiate nella dicotomia
(acquiescenti? adoranti? sedotte o emancipate?)
e ha tolto loro la forza di progettare Altro
davvero. La loro opera di civilizzazione
si è arenata davanti al solito vecchio coito
culturalmente maschio e non interruptus.
Questo per me oggi rappresenta l'abnorme
rinuncia delle donne alla ricerca di una
'invenzione' culturale e antropologica che
modifichi lo sguardo e il praticare il mondo
per tutta la specie.
Uno sguardo ed un'agire che ci ponga in una
posizione altra da quella conosciuta, quella
che perpetua una scelta/non scelta antropologica
legata al conflitto, alla contrapposizione,
alla violenza istintuale dell'età della pietra.
Quella che ha voluto 'questo' maschile come
vincente, anche per le donne, soprattutto
quando affermano di voler essere a loro volta
'vincenti'.
Daniela Pellegrini marzo 2003
La critica al potere del sapere è ancora
nelle mani del potere del sapere. Anche le
donne, forse per pervicace seduzione al maschile,
all'Altro della differenza non affatto criticato
se non nel potere di sé medesimo che l'ha
definito (come se, privato di quel potere,
potesse esistere com'è ed essere reale e
vivo - o viceversa)
Criticare il suo potere - con una identica
critica al sapere - serve solo a confermarlo,
il maschile così com'è e perfino la "'sua"
critica al sapere quando esso la metta in
campo.
E' una questione di 'differenza' dove la
'seconda' (e inaudita) si riconferma all'Altro
differente mantenendolo tale e quale.
L'ignoranza e la cecità delle donne 'di pensiero',
quelle erudite allo specchio dell'omo', sull'esperienza
'detta' nella pratica reale e viva delle
donne del movimento, è abissale.
Tanto da attribuire a 'omini' eruditi l'origine
del loro dire di donne, dal e nel corpo vissuto.
Così ugualmente le 'politiche' che attribuiscono
l'erompere del movimento delle donne a un
'neutro-omo' movimento maschile che ha creato
il 'clima' adatto…
E' incredibile il pedaggio di dipendenza
che mettono in campo.
Qui nessuna sembra ricordarsi, vedere, sapere
di cosa si sta parlando: potere fallico fatto
sapere e agire.
La differenza 'bio' esiste, è lì da vedere,
perciò è inutile negarla come tale, ma proprio
le conseguenze che tale bio-differenza ha
messo in atto rispetto al 'desiderio'(?)
di potere dentro e nella costruzione della
cultura a scapito di una, l'Altra, bio-differenza,
dà segno evidente della pericolosità concreta
e 'bio' della differenza maschile - quella
che nega a priori le libertà plurali dell'essere
'anche' bio.
Questione di testosteroni? Ahimé che tristezza
sarebbe.
La cultura, il potere del fallo ne è la prova.
Non basta la resistenza, che sicuramente
esiste ed opera, deve sparire il testosterone
in eccesso, per le libertà del femminile,
ma anche per quelle del maschile, dal potere/sapere
fallico. E che tutto, tutte e tutti abbiano
altri nomi altri respiri di libera esistenza.
Ma se si continua a essere sedotti ed a esaltare
'chi ce l'ha più duro…e/o a competerci, non
si lamenti nessuno, neppure le cosiddette
vittime o i suoi cosiddetti perdenti (eunuchi?)
Chi parla di indeterminatezza di soggetti
e oggetti se fuori dal potere-sapere fallico
è con lui.
Il corpo femmina è decentrato, sia rispetto
al fallo che rispetto al piacere fallico
Ma la 'necessità naturale' (?) di procreare
'costringe' la donna a mettersi nelle mani
della sessualità maschile. Questo la stravolge.
Immola alla maternità (e vi è spinta culturalmente
dal desiderio del maschio di appropriarsene)
il suo desiderio e il suo piacere. Esiste
un intreccio tra necessità biologica (divenuta
l'unica verità culturale) e la coercizione
e sfruttamento testosteronico maschile.
Il corpo femmina non avrebbe bisogno di resistenza
ma andare per le sue multiformi strade additandole
a tutti (e sono queste che terrorizzano il
potere testosteronico, che ha voluto tacerle,
costringerle ad un unico uguale a sé stesso,
con pervicace ostracismo e violenza ).
L'enfatizzazione sull'erezione (più duro)
per assicurarsi ed appropriarsi dei figli
(invidia maternità) e del potere-sapere di
e su tutto il resto: questa è l'origine del
potere-sapere fallico di cui si parla e da
cui si è ammorbate/i.
E' inaudito - anzi visibilissimo - quanto
il maschio abbia vissuto come stato di inferiorità
biologica la sua esclusione dal risultato
della procreazione (gravidanza e parto) e
si sia percepito impoverito e "privato".
Ha così voluto capovolgere questo stato di
cose diventando ricco e straricco, chiamando
"privato" - cioè "suo"
- tutto ciò di cui egli si sente 'privato'.
E se n'è impossessato (e continua) a partire
dai figli generati dalla femmina, fino ai
doni della natura: terre, fiumi, aria, acqua,
semi…
E questo "suo privato" divenne
il marchio di questa cultura depredatrice,
devastatrice e sfruttatrice su tutte le cose
e gli esseri del mondo.
E il mondo continua ad "eleggere"
(meglio, "ereggere") democraticamente
il fallo più duro a suo padrone seguendolo
ciecamente. In presenza di quelle che si
sono chiamate rivoluzioni contro il dittatore
o i dittatori di turno, la speranza che ciò
venga meno è sempre stato un palliativo periodico
in attesa di innalzarne a propria volta uno
altrettanto duro.
Se fossi maschio mi vergognerei…
Quando vedo un uomo che porta in giro se
stesso, quel corpo di carne dimentico di
sé e della salute del mondo, tronfio di sé,
mi dispero per la sua irragionevole e supponente
inconsapevolezza.
Siamo in attesa di autocritica e di testosteroni
sedati, quello che basta alla sua (di lui
e della sua cultura) civilizzazione.
La prima regolamentazione che il sapere -
non tanto della differenza bio, ma della
privazione dell'oggetto figliato - è attuata
dal maschio sulla femmina, per potere di
possesso sicuro su ciò che non ha e a cui
dare il proprio nome e il proprio 'marchio'.
A seguire: tutte le regolamentazioni a scopo
di approprio a cui dare nomi che ne nascondano
l'origine reale, 'naturale'. Dalle terre,
all'acqua, ai semi…il 'logo' testosteronico
impazza.
Questa è la bio-ossessione maschile, sostenuta
forse dal testosterone in eccesso, ma, poiché
sarebbe attuare una colpevolizzazione non
necessaria,, secondo me quest'ultimo viene
usato come prova della verità giustificante
di questo agire il sapere-potere fallico,
anche contro i maschi (eunuchi?)
Come potrebbe tutto ciò non essere compenetrato
alla violenza, alla coercizione che la cultura
'omana' perpetua da secoli..e continua?
Perché non è solo nel sapere-potere che ciò
si dispiega - sapere-potere che è retaggio
e consolazione agli 'eunuchi' di categoria
'bio', così che il testosterone non umilii
i sapienti divenuti potenti culturamente.
Il testosterone prende forma nella figura
truculenta del guerriero, del forzuto, del
devastatore = conquistatore di cui questa
cultura designa l'eroicità, la esalta e la
rappresenta come simboli ossessivi della
storia 'omana', erigendo monumenti, riti
e tradizioni mortifere.
E tra i sapienti, bio-eunuchi ma potenti
fallicamente, e i conquistatori testateronici,
c'è un subdolo legame di complicità sottaciuta
e di competizione tra vincitori: tra fallici
e biotestosteronici. Li si vede spesso litigare
appassionatamente tra loro in un gioco subdolamente
(non tanto) erotico per vedere chi ce l'ha…
meglio : il duro bio e il duro simbolico.
Stessa specie, dannata per la specie.
Il potere della "verità" omosoggettiva
ha soggiogato l'oggettività delle verità
libere e plurali e creative…
Vedere tranquillamente la realtà esistente,
conoscerne le verità senza punto di vista
(di potere)….
Daniela Pellegrini
Giugno/luglio/agosto 2004
27-09-2001
Il 'marchio' del maschile negli anni 2000
ovvero
Il 'logos' della globalizzazione:
forma estrema del binomio patriarcato/capitale
Che c'è di tanto nuovo, 'dopo' il patriarcato,
se continuano a 'marcare il territorio'?
La simbolizzazione duale che ha sedimentato
e rese ineluttabili le caratteristiche sessuate
bipolari della specie umana (le barbies e
i soldatini di piombo!) ha operato un'affidamento
cieco e protervo della cultura, e delle sue
azioni, al fondamentalismo maschile dell'aggressività,
della competizione e dei 'logos'.
Il maschile come valore dominante continua
così a impedire una vera civilizzazione della
specie umana.
E' sconcertante infatti rendersi conto di
come si siano mantenute ed agite nei secoli
solo quelle affinità con il regno animale,
per quest'ultimo del tutto istintuali, che
vengono definite più cruenti e spietate,
quelle da cui l'homo sapiens avrebbe dovuto
discostarsi ed ha anche detto di voler superare
a dimostrazione dell' 'in più' della sua
specie. Ma l'homo sapiens è proprio 'homo',
con le sue caratteristiche maschili ormonali
a tutto campo!
Affinità cruente che l'intellettualizzazione
(logos = maschile) non ha affatto cancellato
e superato, ma, anzi, ha invece concettualizzato
e sostenuto essere la base del vero (e perfino
del giusto) dei rapporti che riguardano la
sessualità, i sessi, i rapporti territoriali,
di proprietà e di razza, la supremazia del
più forte, ecc.
Le affinità positive sono state relegate
alle donne, in qualche modo 'costrette' a
incarnarle in modo esclusivo e da sole, che
hanno continuato nella loro opera di coordinatrici
sociali nelle relazioni, preservatrici e
ricostruttrici di vita… anche di quella del
'maschile' in quanto dominatore e possibile
distruttore e violentatore (il riposo del
guerriero vi dice qualcosa?). Non abbiamo
sentito nessun 'grazie', ma solo disprezzo…
Ma non rivanghiamo; e poiché pensiamo che
il 'femminile' può civilizzare il mondo siamo
dispostissime a condividerlo coi maschietti
disponibili. Il dualismo è una fregatura
per entrambi i sessi e per la vita della
specie: dovremmo rendercene conto, per diventare
finalmente una 'specie sapiens/sapiens'.
Perché intanto la sete di erezione di questo
'maschile' continua a sostituire la possibilità
di una vera civilizzazione della specie con
un suo rutilante fac-simile: il progresso.
Un progresso dispensato virtualmente a tutti,
ma di proprietà di ben pochi. Ma questa è
l'era dell'ottimismo!
Un progresso il cui risvolto negativo per
l'ambiente e per i viventi è spesso assimilabile
nelle conseguenze a veri e propri atti terroristici:
vedi per esempio Seveso, Cernobyl, mucca
pazza, affondamenti petroliere e inquinamenti
vari … e buon'ultima l'esplosione delle fabbrica
chimica in Francia.
Atti terroristici messi in cantiere e messi
in atto da un 'maschile' che, ignorante di
ogni senso del limite e di responsabilità
verso la vita, pensa che tutto gli sia permesso
e dovuto, a scopo di potere e di ricchezza.
E' un progresso legato al senso estremo della
proprietà privata (l'urina animale che marchia
il territorio del possesso) su cui si fonda
tutta l'economia e che instaura perciò l'impossibilità
ad accedere anche alla pura sopravvivenza
a chi non è di categoria animale 'alfa',
se non sottomettendosi a chi si impone violentemente
per esserlo.
E' un progresso che viene imposto come marchio
di fabbrica e immagine 'vincente' di quel
maschile a cui tendere ed adeguarsi.
E' un progresso che prende possesso dei prodotti
della sua riproduzione della specie (dai
figli alla clonazione compresa), dei suoi
prodotti della natura (i 'suoi semi'! e piante
compresi), sui prodotti scientificamente
e tecnologicamente alterati, transgenici
(a imitazione invidiosa e perciò più lontani
possibile della natura considerata 'matrigna').
E tutto ciò avviene in un delirio di potere,
competizione ed appropriazione indebita che
fa di questa cultura 'umana', ormai sulla
via della globalizzazione mondiale, la peggiore
delle possibili. Una globalizzazione che
non fa ormai discriminazioni sessuali esplicite
tra uomini e donne, poiché la discriminante
del maschile contrapposto al femminile ha
globalizzato anche i sessi.
Entrambi, e come sempre è stato, protendono
verso il maschile e soffrono di una eventuale
'femminilizzazione' a loro carico che tende
ad escluderli dal potere, dalla ricchezza,
dall'autonomia, dal poter essere… felici!
E il terrore di trovarsi in queste condizioni
rinfocola ancor più la competizione e la
rivalità maschili che metteno in scena su
scala mondiale (e anche nei particolarismi
nazionali interni) tutti i suoi rutilanti
fondamentalismi (compreso quello sessuato),
vessilli di guerra per 'decidere chi ce l'ha
più duro'!
Sembra proprio che su questo si fondi la
cultura della specie. Gli altari della gloria,
dei combattenti e degli eroi e delle vittorie
e dei 'capi' segnano le tappe della sua storia
da millenni e tutto ciò viene sbandierato
e incensato come 'grandezza' dell'umano (neutro/
maschile).
I venti di guerra (che si chiami vendetta,
che si chiami umanitaria, che si chiami 'ho
ragione io' e dio è con me)) fanno luccicare
gli occhi e palpitare i cuori di masse ululanti
di maschi, coi loro fucili, missili, bombe
più o meno nucleari, in una apparente, e
talvolta definita da essi stessi, irragionevolezza,
ma che dice delle loro ragioni di affermazione
'maschlle'. Come mai nessuno se ne accorge?
mette in cantiere una logica autocritica
… E corre ai ripari?
Per i maschi e i loro comodi di potere si
può capire, e anche per quelli più illuminati
e critici : come potrebbero mettere in discussione
la propria immagine e il proprio 'marchio'
di fabbrica (maschili) se è proprio quella
cultura a rappresentarli ? Cultura di cui
sono fieri soggetti e fautori da secoli?
Ma la propensione al maschile ha nuovamente
e subdolamente contaminato anche il soggetto
donna, quello che ha preso coscienza di sé,
non solo entro un percorso di emancipazione,
ma come risultato del percorso di auto/rivalutazione
e autorevolezza compiuto dal movimento delle
donne ai fini di evidenziare con forza e
determinazione la logica dei Due soggetti,
contro il soggetto neutro (al maschile),
e contro il patriarcato.
Propensione al maschile che, grazie all'emancipazione
(dove naturalmente viene 'permessa' da benevoli
'homo sapiens'!), fa acquisire alle donne
la possibilità di far proprio questo maschile
ed agirlo. E grazie alla rinfocolata estremizzazione
delle due differenze, operata da una certa
parte del movimento delle donne, che finisce
per riproporre il maschile come essenziale
polo di attrazione, seduttivo e ineludibile:
l'Altro per eccellenza.
La 'visibilità' e il 'riconoscimento' di
questo essere Due soggetti, dipende ancora
dalla benevolenza/comprensione di questo
Altro, che deve prenderne atto.
Ma maschile rimane… e il maschile contrapposto
al femminile giocano come sempre brutti scherzi
di cultura.
Non voglio certo mettere in dubbio che siano
di fatto, e soprattutto per esperienza secolare,
due soggetti distinti a incarnare queste
due differenze. Sono lì da vedere.
Ma voglio mettere in discussione la scelta
culturale che ne ha determinato l'estremizzazione
in un rapporto di potere tutto a vantaggio
di quello che continua ad essere definito
il polo vincente, quello della seduzione
e dell'arroganza del maschile. Anche per
le donne, anche dentro la nuova logica 'relazionale'
da esse inventata e voluta.
La soluzione non risiede certo nella semplice
(?) valorizzazione e aumentata autorevolezza
del femminile, ma in una drastica messa in
discussione culturale del maschile, con il
quale non c'è mediazione praticabile o possibile.
E questo soprattutto se si è convinti che
esistono ineludibili basi biologiche e ormonali
(quelle che hanno potuto permettere una simbolizzazione
del femminile e del maschile estremamente
bipolare e perciò antagonista) a determinare
i comportamenti e le propensioni dei due
sessi.
Insistere a sostenere (e a insegnare e incensare)
la naturale aggressività e competizione del
'maschile' nell'uomo ha portato la nostra
specie ad inaudite aberrazioni culturali
(la violenza come mito e come pratica), sociali
(aggressioni e discriminazioni sessuali,
razziste, economiche) e di potere (sfruttamento,
alienazione, dittatura, guerra).
C'è un esempio in 'natura' che potrebbe suggerirci
qualcosa: è ormai documentato che certe scimmie
antropomorfe, benché all'oscuro dei propri
DNA, riequilibrano l'andamento sociale del
branco escludendo dalla riproduzione della
specie i maschi troppo aggressivi e violenti!.
Ma, per non arrivare a tanta discriminazione
(non copiamo il maschile!), basterebbe modificare
il nostro sguardo culturale e tendere alla
civilizzazione di un maschile che ci fa sprofondare
sempre di più nella distruzione e in una
sempre rinnovata 'età della pietra', anche
se sapientemente camuffata da raffinati pro(gr)Essi
e dai loro logos più o meno virtuali.
Noi siamo state consenzienti a riprodurre
questo stato di cose, perfino tra noi. Ora
è tempo di cambiare rotta.
Il mio è certamente un sapere 'collocato',
quello che è scaturito da un lungo percorso
di pratica nel movimento delle donne. Un
percorso che, per me ancora oggi, si separa
dall'omologazione alla cultura costruita
e praticata fin qui. E da ciò prendo e mi
dò sguardi e parole.
E' incredibile accorgersi, se si riesce ad
accorgersene, con quale e quanta pervicacia
il mondo in cui siamo sommerse riproduca
ed esalti concezioni, significati, intendimenti
e comportamenti come se fossero connaturati
e perfino 'logici' all'essere della specie
umana. Perfino quando, in ben pochi casi
eclatanti, ne sa leggere e deprecare la nefandezza.
Sembra in questi casi goderne nel poterne
decretare e agire la 'punizione'. Quando
'la punizione' é già di per sè un caso eclatante,
un segno significante della nefandezza tutta.
Messa lì a nascondere l'identificazione e
la complicità che ha prodotto, proprio grazie
a quello 'scontato', tutto il suo aberrante.
E ciò cancella ogni possibilità di modificazione,
di scelta culturale diversa.
Il simbolo estremo di questo ridicolo modus
vivendi (si fa per dire) è la guerra. Essa
è considerata 'santa' da e per tutti i contendenti
in campo; ed è agita e valutata in base a
quanti più morti e catastrofi essa possa
produrre (al suono di eccitanti trombette
d'assalto e violini di postuma commozione)
per definirne l'eroico vincitore. Chiunque
esso sia, egli brinda con occhi pieni di
lacrime di coccodrillo, al suo giusto e sacrosanto
averne ammazzati di più. E riceve in premio
e riconoscimento il bacio soave della mamma
e della sposa (che hanno rischiato nel frattempo
di essere stuprate dal 'nemico!).
Perché un altro esempio lapalissiano (e scontato)
del modus vivendi et amandi (si fa per dire)
di questa 'naturale' scelta culturale, è
lo stupro (Ex Jugoslava e Somalia comprese).
Esso ha culturalmente radici non poco evidenti
in una significazione, esaltazione e gestione
della sessualità definita 'maschile' (e drasticamente
bi-differenziata e genitale) in termini di
'unica modalità del desiderio' per tutti,
di 'naturale' aggressività, di 'logica' di
potenza e soprattutto di potere. Potere perciò
anche di stupro. Perché stupirsene?
Accettato tutto ciò che sta a monte di un
gesto estremo (?), ci si lamenta e inorridisce,
quando non si insinua che anche alla vittima
sia piaciuto, dato che in quella metodologia
è 'naturale' che essa si riconosca. Di questi
tempi essa può perfino operare una seconda
(meglio dire 'as/seconda') torsione - dopo
la prima di freudiana memoria - e da preda
farsi cacciatrice! Quale miglior metodo per
poter continuare a dire che questa è la sessualità
della specie e che perciò questo 'maschio
è bello'? Perfino le donne.
Ma l'aggressività, la forza, il potere esaltati
attraverso il 'genere sessuato'(e la genitalità)
che li significa divengono metodologia di
gestione del mondo, di stupro del mondo (con
annessa e connessa commozione e postumo vituperio).
E' così 'naturale'! E così reale e realistico
che tutta la vasta gamma di possibili segni,
rappresentazioni, sollecitazioni di cui si
nutrono le vite dell'umanità, proprio su
ciò si incentra e con dovizia di particolari;
su ciò si imposta e si impone il modello
bifronte a cui tendere, in una visione eroica,
da 'imitare' e da amare. E poi ci si stupisce
che gli uomini siano uomini proprio così
e si vuole che le donne siano donne solo
'insieme' o anche, ora, 'a' loro.
Il movimento delle donne sembrava aver intuito
tutto questo, dico sembrava perché ora il
desiderio di esistenza forte, di auto rivalutazione
dentro questo mondo le ha rispinte su una
strada dal doppio bi-nario, ma che a mio
avviso, come ogni bi-nario che si rispetti,
ha una strada sola da seguire.
Nella fattispecie: affiancarci in parallelo,
e sicuramente con autorevolezza, a un binario
portante già esistente, ma inamovibile perché
immodificabile, porta forse a possibili deragliamenti
'differenziali', ma non apre di per sé a
davvero nuovi itinerari per nessuno.
Ho anzi il sospetto che attivi una rieditata
complicità, basata sull'accettazione della
'differenza' inalienabile e immodificabile
dell'Alterità (quella data e data per scontata),
con tutte le perniciose conseguenze simboliche
e pratiche che ciò comporta. Quelle che sono
lì da vedere.
Per questo ormai da molti anni mi interrogo
su come aprire nuovi itinerari.
A partire dalla 'differenza' e dal suo bi-essenzialismo
genitale a scopi riproduttivi che appare
essere la base portante e ineludibile di
simbolizzazione per la cultura della specie
fin qui, ma anche, ora, della cultura delle
donne.
Avevo iniziato a farlo nel 1989, propositivamente
e creativamente, in uno spazio che mi concedevo
libero da forzate decostruzioni, nell'articolo
'Abitare il mondo' sul n°13/14 di Fluttuaria:
"Non ci manca certo, a tutt'oggi, la pratica
di riferimento al nostro genere, anche se
non basta definirla, dichiararla preferenziale
su ogni altra in termini astratti. Anche
e dove si fa concreta e reale, manca la chiarezza
e la determinazione progettuale complessiva.
Il rischio è infatti quello di permanere
nel dato ontologico e progettuale esistente,
a cui affiancare semplicemente la propria
voce, continuando a chiamarla differenza.
Il termine é ormai accettato da tutti: dentro
ci viaggiano tutti i tipi di differenza,
anche i più ritriti. Accogliere un siffatto
tipo di differenza rischia di cancellare
di nuovo il soggetto: le donne saranno fagocitate
un'altra volta da chi ha sempre voluto trarre
profitti di potere.
Penso che alla chiarezza della nostra differenza
di oggi e di sempre, manca la coscienza che
la nostra materia è la materia del mondo,
quella che prevede le due e tutte le differenze.
ma non ne fa simboli né singolarmente preferenziali,
né ontologicamente ricomponibili in una stravangante
perfezione di somma, doppio, complementarietà,
unione degli opposti. E finisce per dare
senso e valore meramente sessuale alla complessità
dell'esistenza, basata un'altra volta sull'infantile
sensazione della mancanza da colmare e non
sulla matura accettazione della 'parzialità'
oggettiva, compiuta in sé, e più che sufficiente
per vivere creativamente nel mondo vario
e plurale che ci circonda e delle sue infinite
relazioni..
La nostra identità di genere si basa sulla
presa di coscienza che proprio l'attribuzione
di valori differenti alle differenze sessuali
ha attuato la nostra cancellazione ( e il
'disvalore e suddittanza' di ogni elemento
o soggetto descrivibile come 'femminile').
Non possiamo ora riaffermare tale attribuzione
dicotomica semplicemente per entrare nel
gioco. Noi possiamo sopravanzarci, mettere
le basi per una vera rivoluzione ontologica....
Detto ciò non sembri strano che io mi autorizzi
ad affermare che bisogna ridimensionare le
differenze di genere a tutte le diversità
e parzialità del mondo. Altrimenti perpetueremo
anche noi la smania delle categorie binarie,
della contrapposizione, dei dualismi, anche
se dialettici, del far quadrare il cerchio
del due in uno (anche se finalmente proprio
due). Dell' universalizzare ciò che l'universo
stesso smentisce di essere, non Uno ( né
due), ma tutto, tutte, tutti....." (Pag.64)
Poi nel n°15 della rivista con "Essere
e non esserci, ovvero: due non è abbastanza"
(1991):
(pag. 8 e 9)
Ora dobbiamo farci arbitre sia della contraddizione
fra i sessi, sia del conflitto che ne deriva,
per poterci sottrarre definitivamente alla
sua pratica di alterità e dualità estremizzate
in tutte le sue forme culturali.
Affermare la nostra differenza è stato necessario
e fondamentale quanto ora non persistere
nel privilegiare il rapporto con la differenza
dell'Altro. Privilegiare la differenza di
genere significa autorizzargli/ci nuovamente
il conflitto nell'ambito duale. Affermare
il doppio soggetto storico è evidenziare
ciò che è avvenuto di fatto...
Per sfrondare il campo da ogni nuovo rischio
è necessario uscire dalla relazione/scissione
del "due" ed entrare in una terza
posizione. Il due va riconosciuto e smascherato
come ordine maschile (per il suo potere)
di un sesso contrapposto o anche, si spera
ora, affiancato all'altro, di un sesso -
e un senso - che trae la sua ragione, se
non più da manifesta opposizione, pur sempre
da due sole differenze. Le uniche riconosciute....
La terza posizione non sta a significare
un terzo dopo l'Uno e il Due. Né il"terzo",
quello riconosciuto in questa cultura dalla
psicanalisi, dalla giustizia o dalla politica,
né un nuovo Uno che si fa carico del Due.
Anzi sta significare un "relativo plurale"
di "ogni" differenza e perciò di
ogni parzialità di soggetti e di soggettività
....
Questo è il nostro punto di avvistamento,
quello della possibilità di soggettività
e di rapporti plurimi differenziati, mediati,
concatenati, in una serialità e variabilità
dove i termini dei conflitti si stemperano
per scelte reali di vita, parzialità di desideri,
emozioni, valori, qualità e quantità, dati
soggettivi ed oggettivi. Del debito che ogni
relazione apre e che in ogni caso va rispettato
e mantenuto aperto perché essa stessa non
si neghi, debito però relativizzato a una
pluralità e non a una dualità coatta di soggetti,
sessi, significati, valori. Relativizzato
a una temporalità fluida nell'arco di una
intera esistenza. Il "terzo" è
ciò che è disposto all 'accoglienza delle
infinite possibilità che ogni soggettività
vivente, finita, può porre in essere e praticare.
....
Per agire il mondo c'è bisogno di saperlo
affermare come proprio. Non si trattta di
spartirlo con chicchessia, ma di renderlo
aperto e praticabile per tutti.
In pratica ciò significa esplicitare fino
in fondo la libertà dal Discorso e dal modo
del conflitto maschile (quello del Due e
del 'fuori di sé') sottraendosi al luogo,
al rapporto e al dialogo diretto, a una logica
che ci vede, ci ha viste, prima perdenti
ed ora dipendenti.
Usiamo della nostra 'differenza' (anche sessuale,
ma non preferenzialmente tale) come capacità
storica, esperienziale di elaborare reciprocità
e non complementarietà, parzialità e non
uguaglianza, diversità e non 'differenza'.
Assumiamo come intera la nostra soggettività
e interagiamo fino in fondo con noi stesse
e con le donne e non semplicemente in un
relazione privilegiata e perciò relativa
quando giocata nel luogo dell'Altro, nel
luogo del due irriducibile.
Creiamo in noi e tra noi un luogo ove rapportarci
con ogni valenza della relatività e parzialità
- anche quella del due per quanto ancora
ci appartiene....
Lo spostamento dei rapporti binari dal fuori
di sè al dentro di noi, tra noi, segnerà
la nascita di un altro luogo, quello del
'relativo plurale', complesso, mobile, relativizzante
che darà conto della nostra differenza e
di tutte le parzialità del mondo. ......
Perché Due non è abbastanza. Noi continueremo
a privilegiare e agire la relazione in ogni
contesto che rechi il segno della parzialità,
ma solo ove essa si faccia reciproca....................
Circondata dalla distrazione e dalla incomprensione
generale al riguardo, che restituivano solo
inascolto a queste mie intuizioni e proposte,
mi sono forzatamente impegnata a 'chiarire'
un processo di decostruzione che fosse comprensibile
entro il terreno pensato e praticato dal
movimento e dalle donne presenti: il terreno
della teoria (e della pratica) della differenza.
In "La differenza coatta, errori e distrazioni
simboliche nella radicalizzazione dell'Alterità
sessuata" (1992) sul n°16 di Fluttuaria:
(pag. 8)
"Ogni donna, del suo percorso della sua crescita,
porta dentro di sé uno o più marchi indelebili
di illibertà. Sono segni del potere, iniziazioni
a quel maschile e al suo rispetto, sono seduzioni
dell'alterità vincente che ci hanno fatto
sentire vive dentro gli stereotipi di questa
cultura e ce li hanno fatti assumere come
nostri, dentro e fuori di noi: il risultato
è una complicità con e per ciò che è 'vincente'.........
L'ego maschile fa la guardia contro la 'pazzia'
della nostra libertà a vantaggio di una identità
'vincente' anche per noi. E' sull'avvistamento
di questa 'pazzia' che il separatismo degli
anni Settanta ha visto il ritrarsi di molte
dal perseguire un'autonomia culturale che
ci privava di ogni regola e riferimento codificato,
di ogni punto fermo e, non ultimo, dello
stereotipo maschile.
Voglio credere che non sia per salvarci inconsciamente
da questa 'perdita', che abbiamo voluto valorizzare
la nostra differenza, ma dentro tale visione
dicotomica il rischio io dico che c'è.
Ho sempre avuto il sospetto che questo simbolico,
quello a cui si dice di voler affiancare
uno femminile, ci appartenga totalmente.
Che poi entro tale simbolico noi abbiamo
rappresentato la parte perdente, finora muta,
cui il potere tutto appartenente al maschile,
proprio perchè questo e così è il maschile
, ha impedito un esprimersi libero e creativo
del femminile non ci piove.
Ma è anche vero che al femminile dimezzato
dello stereotipo di questa scelta culturale
appartiene l'idea che il potere non solo
sia maschile, perchè di fatto lo è, ma che
sia giusto così. Infatti che noi siamo inconsciamente
addirittura consenzienti appare vero sia
a livello teorico che nella pratica. A livello
teorico quando il femminile acquisisce potere
attraverso categorie razionali r di rappresentazione
autorevoli di sè mimetiche e/o parallele
di quel maschile, e nella pratica quando
esso ricerca visibilità entro il mondo dato,
cioè in presenza dell'immutabile 'altro'.
Del potere di Sua Alterità si ha bisogno
per esistere nella sessuazione di questo
simbolico delle due differenze.
Credo perciò che il maschile di cui si parla
tra noi e che abbiamo agito a scapito delle
nostre relazioni ... sia tutta una questione
di distrazione simbolica. Ciò che ci porta
a dargli valore e ad usarne le qualità come
vincenti è la sua parentela con un potere
legato all'alterità per eccellenza .
Quando noi agiamo tra noi o col mondo 'esterno'
lo facciamo sempre attraverso la sopravvalutazione
della dualità così da agire distrattamente
il simbolico maschile tra noi per darci ragione
e valore, mentre ricerchiamo visibilità e
riconoscimento fuori di noi, da parte di
quel maschile, che chiamiamo addirittura
mondo, l'unico che possegga la forza simbolica
dell'alterità per eccellenza.
Finché non l'avremo scalzata totalmente nella
pratica reale delle nostre vite, insieme
alle sue due noiosissime facce, il mondo
che volevamo mettere al mondo avrà lo stesso
sapore di rancido, quello della dipendenza
e della seduzione univoca e coatta del Due
o del conflitto, più o meno taciuto o molto
osannato, usabile a scopo di potere.........
Ho continuato a decostruire ne "Il valore
differito" (N°17) apparso in seguito
(1994). Si trattava di un numero della rivista
dedicato al tema: 'denaro'.
Avrei forse preferito non doverlo fare (decostruire
intendo). Anche se molte dicono che va fatto
e molte lo stanno facendo come unica metodologia
creativa.
(pag.2)
...pochi i pensieri legati alla materialità,
al denaro e al senso del suo valore, poiché
a poca materia, se non antica e già codificata
ed espulsa da ogni onore trascendentale,
noi siamo state capaci di dare nome, vissuto
e concretezza diversi. Perse forse in pensieri
esaltanti sì, ma quanto stereotipatamente
legati al desiderio anche per noi di un 'riscatto'
dalla materia. E al denaro chiediamo di attribuirle
valore. A questa materia a noi assegnata
culturalmente e socialmente che è rimasta
anche per noi e il nostro pensiero abbruttente,
rozza ed oscura. Forse qualche dubbio l'abbiamo
espresso, chiamandola amore, ma sul denaro
c'è resistenza testarda.
Questa nostra materia doveva accedere al
Verbo, doveva parlare per redimersi, ma l'unico
linguaggio che le abbiamo riconcesso è quello
di una astrazione e di una ricerca di simbolico
basato su una ereditata materia che ci definisce
a priori (mater). Essa 'deve' perciò essere,
perché lo è la materia che l'origina, contrapposto
a quel simbolico Altro (quello che dalla
materia si è staccato).
Ma così facendo, quanto mimetica diventa
questa ricerca di un simbolico con il quale
dimostrare che nell'olimpo dei suoi valori
trascendentali questa nostra materia (e ancora
'solo nostra') ha diritto di cittadinanza.
Abbiamo anche bisogno, e come sarà mai possibile,
che vi sia riscontro di valore in moneta
per una materia tradita?
Il problema, il conflitto di una dualità
rigida e inalienabilmente differente tra
i sessi viene assunta e supinamente riattualizza
l'impossibilità di una coincidenza tra materia/pensiero/storia
che invece accomuna tutta la specie e non
la divide in categorie dualistiche e di 'specializzazione'.
E non si può affiancare a mio avviso un simbolico
di chi è, storicamente, e riconosce come
solo propria quella materia, a un simbolico
di chi non se la riconosce e l'espelle. Così
che la coincidenza tra materia e pensiero,
che noi avvertiamo nelle nostre vite e nei
nostri desideri, viene totalmente cancellata
in presenza del valore denaro a scapito di
ogni nostro sforzo. Dato che il denaro è
lì a sostituire la materia, svilendola fuori
dal suo valore.
Ma i piani del discorso sono terribilmente
complessi e ancora in balia del Discorso
che implica una strettissima relazione e
interrelazione tra una genealogia psichica/economica/storica-culturale
che ha portato all'instaurarsi di valori
fondamentali,'universali", difficilmente
valutabili fuori dalla logica del Discorso
stesso, e fuori perciò dalla affermata denegazione
della materia che
l'ha prodotto.
............molte conferme nel merito ho
riscontrato in un saggio di J. Joseph Goux
intitolato: "L'oro, il padre, il fallo,
il monarca e la lingua" (nella versione
italiana, edita da Feltrinelli nel 1976,
in "Freud, Marx, economia e simbolico").
..............Egli usa delle categorie psicanalitiche
e di quelle marxiste per leggere la sincronicità
genealogica tra il processi di sviluppo psichico
e quello economico nella costruzione dell'identità
del soggetto e del valore di scambio tra
soggetti e tra oggetti. Entrambi i processi,
egli dice, prendono forma e senso in un lungo
percorso ascendente e sempre più 'differito'
da una uguaglianza/equivalenza e di equivalenze
relative e interscambiabili (tra soggetti
simili - tra oggetti di uguale o simile valore)
fino all'invenzione (lui dice: arbitraria!)
di 'equivalenti generali, interpreti e simulacri,
sempre più
differiti ed astratti, del valore di ogni
esistente. Essi sono: l'oro, il padre, il
fallo, il monarca e la lingua.
................."differire' .... processo
sostanziale della cultura umana (quella che
si è costruita fin qui). un differire dalla
materia, dalla natura, un allontanarsi dal
reale per sostituirlo e cercare di rendersene
padroni e arbitri. Il reale ha poco prezzo
se non sono io a dargli valore, costi e prezzi.
La materia è ottusa se non sono io a darle
pensiero, regole e forma (a comiciare dal
lavoro della produzione della specie). L'io
maschile del mondo è su questo che ha costruito
la sua onnipotenza, scordandosi che la materia
cerebrale che gliel'ha reso possibile è già
di per sè, ha già pensato per lui questa
possibilità.
Ed è un differire che si discosta sempre
più dalla coincidenza, somiglianza, assonanza,
condivisione ........ Esautorando l'esistente,
diventiamo schiavi del nostro differire da
esso.
Processo del differire che introduce la questione
della differenza..
"La differenza, concetto economico che
designa la produzione del differire, nel
doppio senso di questo termine" (Derrida)
e cioè allontanarsi e differenziarsi.
Essa rappresenta perciò una deviazione, un
uso stornato di sè, e i mezzi di rappresentazione
di questo sono gli strumenti di una deviazione
... per differire. La differenza è perciò
un'operazione e non una struttura data.
In particolare, rispetto al processo della
creazione del soggetto anche Goux conferma
come sia "l'Altro il luogo della generazione
significante".
..........................................
....................................................................
.......... mi sono fatta cogliere da un terrificante
sospetto. .....quale responsabilità ha il
genere in cui mi situo rispetto al decorso
di una cultura che apparerentemente ora contesta
( o meglio, contestava)?...............................
............ chi se non soggetti più simili
perché tra loro più vicini per un'uguaglianza
esperienziale, quella della gravidanza e
del parto, in cui il corpo, la materia non
sono eludibili, possono aver instaurato questo
processo genealogico di strutturazione dell'Alterità
(fuori di sè e da quella materialità) come
riferimento di valore 'differito', tramite
l'esclusione, l'inessenzialità, il superfluo,
e perciò luogo della trascendenzialità..........................................
Ed è averlo feticizzato proprio in quella
specifica Alterità (Padre, Fallo, Monarca)
che gli abbiamo dato il Potere di dare (e
darci) valrore e perciò di darlo anche alla
materia che, in quella parte che è rimasta
concretamente nostra, resiste, estranea e
a-simbolica. Quale è stato il sesso prescelto
a questa funzione sembra perciò dare una
risposta inquietante al mio dubbio.
Il dubbio che possa essere stato il nostro
sesso ad attuare la scelta può nascere dato
che siamo state noi che, sotto il potere
dell'Altro da noi eletto, ci siamo trovate
esautorate. Noi come la materia che siamo
giunte a così bene incarnare nel nostro apparente
silenzio di secoli.
Questa operazione suicida,....sarebbe giunta
a codificare la 'differenza' quale poi i
secoli l'hanno sedimentata espropriandoci
del valore, della creatività e del potere
che potevamo semplicemente riconoscerci e
riconoscere alla materia.
Ma oggi, tutto questo è quasi più vero, e
spiegherebbe molte cose riguardo al mantenimento
del valore dell'Alterità e il continuo e
più o meno taciuto, ma 'visibile' riferirsi
ad essa per 'differire' e per differenza
che l'elaborazione del pensiero delle donne
ha attuato negli anni novanta, a scapito
della propria autonomia e al contempo a sostegno
del Discorso; del Potere e della genealogia
di questa cultura..
Questo anche se, dall'elaborazione del simbolico
materno, si è giunte ad affermarne finalmente
(!) anche la carnalità. Una 'scoperta' teorica
recente sulla scena rappresentativa del mondo,
che per me è sempre stata una ovvietà, ma
che non ha prodotto consapevolezza sufficiente
a 'materializzare' tutto l'esistente. E'
servito solo a riaffermare una differenza
non condivisibile e a creare nuovamente lo
steccato del differire. Ci siamo nuovamete
'specializzate in materia'.
La messa in discussione di questo tipo di
alterità, per 'differenza' (e 'differire'
dalla materia) con tutti i suoi corollari
ai vari livelli di senso, mi appare sempre
più essenziale e necessaria alla nostra politica,
se vogliamo uscire dalla complicità nell'instaurarsi
e perseverare nella scissione, e alla possibilità
quindi di una nuova scelta per tutta la specie.
........nella prospettiva di riaccedere alla
coincidenza sapiente di materia/pensiero
che nel nostro corpo di donna avrebbe sempre
potuto avere testimonianza , ma che non siamo
state ancora capaci di riconoscere con fierezza
e perciò di attribuirle sufficiente valore
in sè, così da consentire a tutta la specie
di condividerla, come di fatto oggettivamente
è, "naturalmente".
Per me l'inascolto è proseguito fino ad ora,
e si è interrotto grazie allo sguardo in
sintonia di Nicoletta Poidimani e al rapporto
con lei e con alcune altre donne disponibili
a sperimentare questo nuovo cammino propositivo
di immaginari creativi e plurimi. Attraverso
l'ascolto e sperimentazione di ciò che ciascun
apporto soggettivo delle nostre 'reali' e
'parziali' diversità potrà mettere in campo.
Dando spazio a segni ed immaginari rimasti
sepolti o ignorati...E soprattutto da creare
e rendere possibili.
Vediamo dunque se decostruire è bello! Male
che vada, pare che ora trovi orecchie in
ascolto.
Tre sono gli ordini di interrogazione da
cui riparto per indagare, destrutturare e
aprire a nuovi sguardi la questione della
'differenza' (nelle sue due accezioni, quella
'sessuale' e quella 'di genere'), e sulla
conseguente metodologia rigidamente bi-differenziata
di elaborazione di pensiero, pratica e gestione
del mondo che aprirebbe alla inderogabile
necessità della mediazione (o spartizione
del potere ?) con 'l'Altro'.
1° Bi-differentia ut imperat !(ovvero: la differenza ad uso disuguaglianza)
Premetto che quando e spesso 'differenza
sessuale' e 'differenza di genere' vengono
scontatamente fatte combaciare, segnalano
un tentativo di conciliazione tra naturale
(?) e culturale che nasconde qualcosa da
indagare. Ciò avviene infatti in presenza
di quello sguardo culturale, solo apparentemente
neutro e 'oggettivo', che ha interpretato
e incasellato le significanze biologiche
(o meglio 'genitali' e perciò esclusivamente
legate alla riproduzione della specie) della
sessuazione per attuarne una gestione socialmente
'funzionale' al proprio sistema di valori
ma, soprattutto, al proprio 'regime' sociale
e di gestione del potere.
L'attribuzione di significanze, capacità,
specificità, valori alle due sessuazioni
genitali appare allora 'naturalmente' determinata,
perché funzionale alla gestione delle differenze
come specializzazioni sessuate estremizzate
e dicotomizzate 'entro' la riproduzione della
specie. E' così che la 'sessualità' non solo
non ha più voce in capitolo se non 'combaciando'
perfettamente con la genitalità procreativa
dei 'due generi' culturalmente definiti,
ma assume voce e parole e significato e perciò
esistenza, solo entro le categorie della
'differenza di genere'.
Ma poiché di fatto entro questo e nessun
altro percorso storico siamo state costrette
e ci siamo 'formate', quelle attribuzioni,
capacità, specificità e perfino propensioni
sembrano essere e sono divenute realtà inequivocabili.
E' stata per noi (e nel 'differire' da noi
anche per l'Altro) millenaria pratica storica,
esperienza quotidiana.
Per questo, ma solo per questo, la "differenza"
esiste davvero!
La sessualità è altra cosa, soprattutto non
è definibile......
Non potevamo che partire da qui. Siamo partite
da qui.
Ora ho voluto andare oltre.
2° Simbolico della Madre: il 'secondo sesso'
ha il suo contraltare al Fallo!
L'ovvia constatazione dell'esistenza ed esperienza
storica e pesantemente reale di e dentro
questa specifica 'differenza di genere' (contrabbandata
come naturale 'differenza sessuale') ha potuto
e ha voluto (?) avallare acriticamente quello
stesso differenzialismo estremo e coatto,
con tutto il suo corollario di ragione e
scissione duale; ha risimbolizzato un genitalismo
(incentrato sulla funzione riproduttiva)
trascendentale, in un nuovo raffinato conciliantissimo
e seduttivo conflitto di potere Dueversale.
Di fronte al 'primo' sesso, e i suoi significanti
ed intendimenti - così differenti perché
già così coattivamente differenziato esso
stesso - il 'secondo sesso' non può dunque
che differenziare i suoi propri, che diventano
(e restano) di sua esclusiva competenza e
perciò non sono spartibili, né modificabili,
né condivisibili. Ed esplicita tutto ciò
con dovizia e parole alate, come mai fino
ad ora. Ciò ha dato certamente forza e baldanza
alla categoria culturale del 'genere' donna.
L'uniblocco simbolico (il simbolico della
madre) si può affiancare a pieno diritto
e potere a quello fallico...
Ma così questo 'secondo sesso' entra nella
stessa logica dello sguardo culturale che
ha creato 'queste' specifiche premesse differenzialiste.
E' entrato nella stessa logica di una elaborazione
simbolica rigida del differenzialismo fondamentalista,
usando i suoi stessi strumenti ed intendimenti:
quelli che hanno voluto e prodotto la divaricazione
tra materia e spirito, quelli che hanno estremizzato
dualità inconciliabili a tutti i livelli,
quelli che affermano la Differenza perché
amano il conflitto (e il potere). E hanno
usato 'La differenza', per neutralizzare,
cancellare, controllare e rendere invisibili
le reali e parziali diversità con la loro
carica di possibili aperture, sperimentazioni,
modificazioni. Le diversità sono pensiero
debole rispetto a fondamentalismi in cerca
di potere.
Infatti la Madre simbolica avanza sulla fallica
scena del Patriarcato per conquistarsi ed
assicurarsi la sua più che meritata e dovuta
'metà del cielo', e lo fa, e lo può fare,
solo entrando nella logica di affermare anche
per il 'secondo sesso' un Universale forte,
potente, autorevole tanto quanto quello dell'Altro.
E per darsi visibilità fa leva, ed esalta,
proprio quella figura del femminile fin qui
'perdente' entro la spartizione e l'antagonismo
di potere con cui si è gestita da sempre
la riproduzione della specie (e perciò la
conduzione del mondo). Ciò ha rimesso a fuoco
una univoca lettura e pratica della materialità
del corpo femminile (e anche maschile). Regalando
al corpo della donna il sostituto simbolico
di 'una sua funzione' (quella materna e perciò
relegandola nuovamente alla dualità rigida
e riproduttiva della 'differenza di genere'),
può prevedere (lasciando intendere che non
è interessante ciò che il corpo nel suo complesso
è ed esperimenta materialmente e soggettivamente)
solo un'unica modalità di rapporto di questo
corpo col mondo e con se stesso... e soprattutto
con L'Altro della riproduzione, con l'Altro
del Materno.
3° Pratica dei 'differenziati' nella casa
comune.
Lo esplicita bene la pratica di mediazione
e contrattazione unidirezionale che questa
differenza (unica e maternale - il materno
praticato del corpo lasciamolo alle incolte..)
si è dovuta gestire in questi ultimi anni
dentro ogni tipo di struttura istituzionale
e istituzionalizzata di questa 'gestione'
di questo unico mondo possibile. E non solo
perché esso appare come l'unico esistente
e funzionante (cosa peraltro altamente realistica,
come lo è la constatazione dell'esistenza
reale della 'differenza'), ma perché lo si
vuole unico nella possibilità e desiderio
di una presenza 'alla pari', se non più 'uguale',
in una gestione del Due più favorevole, in
un progetto di esistenza vincente anche per
le donne. Dico 'vincente' e dico 'anche'.
Cosa c'è di cambiato dalla logica culturale
data? Non certo quella del potere, a cui
accedere finalmente (non ditemi che è 'solo'
simbolico, perché solo il simbolico dice
il potere e solo così può agirlo).
Cosa c'è di cambiato in questo 'nuovo' femminile
se non di esplicitare, forse anche in modo
'differente' (ad andar bene la chiamano mediazione,
ma anche il 'mercato' ha la sua parte) lo
stesso dualismo che qualsiasi 'identità fortemente
autoreferenziale' mette in campo per affermarsi
e 'distinguersi' nei confronti dell'Altro
e delle Alterità?
Aprire nuovi sguardi, dicevo. Sulla consapevolezza
che il tipo di differenzialismo fondamentalista
a noi dato da praticare non solo è fucina
di illibertà e conflitti grandi e disperanti
per ogni soggettività che cerchi corpo ed
espressione davvero propri, ma radice di
quelle nefandezze, ingiustizie e conflitti
che la specie umana trova così 'naturali'
e congeniali alla specie da riprodurli ostinatamente
nella cultura e nella 'punizione' delle diversità
da questa.
Il movimento delle donne ha messo in luce
che esistono di fatto 'valori' che il femminile
praticato da secoli ha mantenuto ed elaborato
per la sopravvivenza della specie e per rapporti
umani decenti. Ha basato su questa consapevolezza
la propria autorevolezza dello stare e praticare
il mondo. E si è appropriato anche giustamente,
di tali valori, su cui costruisce ora la
propria autorità e specificità dell'essere
e dell'agire nel mondo. Ma la specificità
di un percorso storico coatto e che perciò
realmente appartiene solo alle donne, sembra
ora servire ad affermare la 'differenza'
culturale che ha reso possibile (ed obbligato)
quel percorso. I valori di questo femminile
non sono spartibili perché sono di esclusiva
appartenenza di chi, avendoli praticati li
possiede ab aeterno (e dalle origini).
Se è vero che sono positivissimi e che il
praticarli li rende congeniali a chi li pratica,
sarebbe il caso di renderli praticabili per
tutti.
Per rendere praticabile ogni possibilità
positiva che la specie umana nel suo complesso
(e soggettivamente, nel parziale di ciascun
essere vivente) può mettere in atto, si tratta
di renderla praticabile per tutti, senza
esclusioni, divieti, proprietà private e
modelli uniformanti o omologanti.
Soprattutto si tratta di rompere il dualismo
che alterità rigide e binomi estremizzati
(la scissione tra superiore/inferiore non
è stata scalzata neanche all'interno del
'nuovo' simbolico 'della madre') sottendono
in ogni contesto della cultura della specie
fin qui.
Condivisione di possibilità plurime di scelte
soggettive e non mercato e contrattazioni
tra due granitici e conflittuali (e seducenti)
mercanti in fiera.
Ho proposto di uscire dal due, di uscire
fuori dalle sue categorie differenzialiste,
sottraendosi ai suoi segni e al luogo della
sua pratica esplicita, ho proposto il 'luogo
terzo' della relatività soggettiva, del 'relativo
plurale' e quindi parziale di ogni differenza.
Ho proposto di indagare come mettere in atto
uno 'stato di necessità alla modificazione'
per tutti. L'ho intravista nella riedizione
di un separatismo accorto e sapiente, quello
che si può praticare anche nel mondo di sempre,
ma come soggetto 'parziale' in ogni sua differenza
e diversità. Un soggetto 'parziale' che si
radica nel 'luogo terzo' e non 'due' di niente
e di nessuno, fuori dalle categorie duali
che ora ancora lo costituiscono. Ce ne dobbiamo
assumere la responsabilità e smascherare
la nostra complicità.
Se ne può discutere.
(giugno '99)
Ma prima è essenziale partire da un'analisi
del presente, calata nella realtà complessiva,
ed attenta ai suoi 'segni'. Farsi carico
di ciò che il mondo produce, anche dopo il
nostro affacciarsi consapevole sulla scena,
dopo l'affacciarsi finalmente esplicito di
un 'femminile' che dovrebbe portare in sé
anche gli elementi di modificazione che il
movimento delle donne ha elaborato e prodotto.
Per capire, intendere, criticare, modificare
e inventare...
Ci siamo chieste spesso quali effetti e mutamenti
abbia prodotto il nostro percorso di consapevolezza
e il nostro agire sull'agire del contesto
sociale e simbolico, quali nuovi avvistamenti
e spostamenti si siano prodotti sul fronte
del 'potere' patriarcale e/o della sua messa
in discussione.
Le risposte ci sono state. Varie, differenziate,
a volte minimaliste (emancipazione e pari
opportunità comprese), a volte trionfaliste.
Riassumerei queste ultime in quattro punti
generali:
1° - il 'femminile' ha preso spazio e visibilità,
2° - il 'patriarcato' è morto.
3° - il femminile agisce in autorità e potere
4° - E il 'maschile'?
1° - La suggestione offertami da una donna
durante un'incontro milanese sulla guerra
nei Balcani che si interrogava sul significato
di antiche parole in stravaganti nuovi accostamenti
(ossimori come: guerra umanitaria, bombe
intelligenti) mi ha permesso di iniziare
a darne una lettura collocata entro la dualità
irriducibile che tali parole e significati
sembrano riaffermare.
La 'levitazione' del femminile e la sua introduzione
a fianco del maschile sulla scena del mondo,
lo 'visualizza' per accostamento, esacerbando
le opposte 'differenze' e lasciandole così
ineludibili e al contempo inesplicabili a
livello di senso complessivo.
La guerra è 'umanitaria' e le bombe sono
intelligenti, dove s'intende che esse non
uccidono (salvo spiacevoli errori)!
In entrambi i casi i due versanti della stessa
medaglia si giustificano reciprocamente:
fare la guerra è giusto poiché è umanitaria
e, se umanitari siamo, possiamo fare la 'giusta'
guerra. E' un tipo di giustificazione di
cui prima il patriarcato non aveva certo
bisogno. Prima pensava solo a se stesso e
il suo Io era sufficiente a declamarne le
ragioni, sante allora, ma non certo umanitarie.
Non certo a favore e preservazione della
carne e della vita (allora si preferiva giustificarle
con la salvezza 'delle anime'!), ma a favore
del proprio Dio e del proprio potere. Esplicitamente.
Ora il suo agire potere (che resta, anche
se sapientemente celato, uguale a se stesso)
trova giustificazione pacificante nella compresenza
e 'pari dignità' del femminile e perciò ancor
più giustezza. Giustificazione pacificante
che viene del resto agita solo in contesti
ove il chi detiene il potere non si esplicita
ancora dentro una valutazione o una realtà
già esistente di 'maggiore e minore' rispetto
ai contendenti aspiranti al titolo di 'maggiore'
(vedi articolo di Pat Patfoort sul Manifesto).
Il candidato migliore a questo titolo sarà
naturalmente colui che assomiglia di più
alla propria visione ( a quella di chi si
mette nella posizione di giudice e fallace
'mediatore') e vi si uniformerà.
La differenza di trattamento 'umanitario'
per kossovari e kurdi e ci metto anche i
serbi, per esempio, dicono molto nel merito
della scelta effettuata 'a monte' da parte
di chi già si reputa 'maggiore' e riconosce
e rispetta come 'maggiore' chi, intercorso
con lui un 'patto' di uguaglianza, gli assomiglia.
I suoi 'fratelli' di potere (i turchi per
esempio). Antoinette Fougue dice giustamente
che il patriarcato è divenuto un 'fratriarcato'
(o anche 'figliarcato').
Fratelli 'uguali' per potere simile e condiviso,
dico io.
Figli (maschi) di Madri preservatrici del
loro valore ( il maschile).
(Unico segno positivo: le loro manifestazioni
perché i 'corpi' dei loro figli non vengano
mandati alla guerra e alla morte. Non le
ho ancora viste manifestare per le loro figlie,
stuprate da quegli stessi loro figli).
La contraddizione tra i due versanti, quello
del maschile e quello del femminile, viene
dunque accettata (non ne siete rimaste shockate?
siete riuscite a conciliare il vostro cuore
e la vostra mente? non avete pensato anche
voi a un 'luogo terzo', dove queste dualità
divaricanti e al contempo complici non possano
più spadroneggiare?).
Perché il femminile, agendo anche grandiosamente
come tale, si fa nuovamente complice dell'inevitabilità
e irriducibilità della contrapposizione e
di quel potere. C'è chi ha il potere di 'sporcare'
e chi questo potere lo rende possibile 'pulendo'.
Sempre gli stessi due. Ab aeterno.
Ora dunque il potere è ancora più ammantato
di giustizia, con la presenza al suo fianco,
'finalmente' parlante, anche a livello simbolico,
e agito in autorevolezza del 'femminile'.
Ma solo perché e quando ciò fa comodo a scopo
di potere. Quello di sempre.
2° - Non è dunque un caso che il famoso patriarcato
('morto'!?) così non si nomini più (neppure
per le donne, anche se solo quelle occidentali
di razza bianca, e in condizioni di saperlo),
dato che il femminile pare abbia preso spazio
simbolico forte, almeno nelle menti, nel
sentire e nell'agire di alcune.
Ma anche qui parto da un'altra forte suggestione,
quella che Nicoletta Poidimani mi offre nel
suo desiderio e impegno ad indagare sulla
'globalizzazione' che, come lei dice, vede
un nuovo (si fa per dire) Uno prendere spazio
di potere sul mondo intero.
Appare evidente che la globalizzazione deve
e vuole sottendere e contemporaneamente conciliare
le differenze (di cultura, di razza, di condizioni
sociali ed economiche e via dicendo) col
metodo della loro uniformazione a un 'potere'
cosiddetto democratico, ma di fatto solo
demagogicamente appiattente e repressivo
delle diversità (da lui e dai suoi "fratelli"
di potere).
Ma le condizioni reali di tali diversità
(dei 'femminili' ogni volta rieditati entro
una dinamica di alterità a scopo di potere)
restano di fatto invariate e 'dipendenti'
dal suo giudizio e dal suo potere.
E' triste constatare che molto spesso le
uniche avvisaglie di rivolta da parte dei
non consenzienti alla propria cancellazione
assumono l'aspetto di frantumazioni tra loro
contrapposte. Troppo spesso il loro agire
a favore delle proprie radici culturali si
trasforma immediatamente nell'avversare quelle
degli altri, di tutte le altre 'diversità'.
Si tende all'egemonizzazione nell'affermazione
della propria superiorità e giustezza. Miseri
tentativi di globalizzazione diffusi entro
pluralità di identità contingenti. Anche
questo è un risultato della strumentalizzazione
del rapporto di genere applicato all'Alterità
ritenuta 'inferiore', da possedere o distruggere...
Ma nel frattempo il nuovo 'Uno', la globalizzazione
culturale basata sul capitale, se ne avvantaggia.
Perché questo nuovo 'Uno' ha affinato i suoi
metodi, ha affinato e conquistato l'arma
del 'femminile'.
Penso infatti che la globalizzazione è il
nuovo aspetto di un potere patriarcale che
ha inglobato il 'femminile' (e le sue lotte
per le varie 'parità') in tutte le sue accezioni:
quelle di razza, di condizioni sociali, di
classe, di sessi e di cultura differenti
(da quell'Uno), continuando a definire quel
'femminile' nella sua debolezza, 'minorità',
ed a salvarlo, accudirlo (leggi educarlo)
ricattandolo economicamente per ricondurlo
ad una 'normalità' rieditata a suo favore.
Una 'normalità' ancora più normale e giusta
poiché la nuova presenza simbolica di sguardi
ed azioni 'al femminile' edulcora ogni tipo
di contraddizione. Anzi, la rende ancor più
stabile e ineludibile, come la 'guerra umanitaria'.
3° - Ma il femminile, questo tipo di femminile,
ha preso spazio simbolico ed azione legittimata
anche in apparente autonomia, senza bisogno
di stravaganti accostamenti di parole. Il
femminile ora, in modo esplicito e simbolicamente
autorevole, si adopra a curare, accudire,
preservare cani gatti leopardi e panda, aria,
acqua e via dicendo 'natura'. Ha potere su
di essa, accudendola.
Un compito 'femminile', quello di dedicarsi
alla materia e alla vita, che è entrato ora
autorevolmente nel simbolico culturale, nel
pubblico dominio (da casalinghe a cosmolinghe,
ironizza Nicoletta).
E così gli elefanti sono costretti a farsi
fare clisteri e otturazioni dentistiche,
le tartarughe, i leoni e gli scimpanzé a
farsi corvées da Tour Mediterranée, i delfini
sono guardati a vista e li si manda a corsi
di danza moderna. Come da brave Madri coi
loro piccini ...
Per non parlare poi del potere sulla riproduzione
della specie (riproduzione assistita ecc.)
che vede le donne sventolare lo stendardo
del grandioso 'femminile materno' e pretendere
di partorire ad ogni età e ad ogni costo,
mentre sull'altro versante impazzano aspirazioni
ed esperimenti di clonazione di ogni tipo...
Entrambe queste due tendenze entro i poteri
e le categorie duali di sempre sono reciprocamente
rese possibili da una complicità, adesione
e mimetismo all'onnipotenza maschiltecnologica.
Onnipotenza che anche il femminile materno
ora vuol condividere, restandone però vergognosamente
dipendente.
Ma c'è anche del buono.
Ci si adopra per la purificazione di aria
acqua ozono petrolio veleni di ogni tipo
(anche nei cibi), della sporcizia messa in
giro da chi ha il potere di sporcare....
Quest'ultima caratteristica 'femminile' apparsa
alla ribalta culturale e simbolica è riconosciuta
e finalmente importante per tutta la specie,
ma è anche qui costretta nel contrapporsi
a un maschile predatorio, onnipotente...
Manca poco perché venga coniato un ossimoro
come: inquinamento/salubre....
Ma le immagini dei gabbiani intinti di petrolio
della guerra del Golfo ripuliti con amorevolezza
esemplare da équipes di volontari di entrambi
i sessi, le immagini di popolazioni affamate
o intossicate, di bambini mutilati, seviziati
che vengono curati e nutriti e i relativi
commoventi appelli alla solidarietà dicono
già.....che 'accostare' è stato anche lodevole,
ma non basta.
4° - Perché la 'questione maschile' e il
maschile sono (e lo sono sempre stati) palle
al piede macroscopiche per la soluzione e
risoluzione dei quali non basta certo una
superficiale 'messa in crisi dei ruoli' stimolata
dalle maggiori libertà delle donne....
La cultura dell'età della pietra, dell'animalità
testosteronica maschile ha preso tale spazio
e soppravvento da impedire e rendere vano
il percorso di civilizzazione cui avrebbe
potuto e dovuto tendere la specie umana.
Quella che ormai mi si è rivelata essere
la 'mafia' maschile ha in tutti i modi cercato
di celare le sue nefandezze e giustificare
il suo potere in tre modi: ha tentato un
'riscatto' di sè, basato sul senso di colpa,
nell'invenzione della spiritualità (che è
senza colpa alcuna) e della religione (che
punisce e premia) e ha dato spazio nell'arte
alla libertà, al femminile represso, alla
bellezza; e infine ha intrapreso testardemente
il percorso di un 'progresso'tutto proiettato
verso l'esterno (in qualche modo erettivo),
che avrebbe dovuto rendere felici tutti quanti
coprendoli di doni insperati, che li avrebbe
spostati da se stessi e dalle proprie misere
vite. Anzi la tendenza è quella di sostituirli,
i soggetti e le loro vite reali. Cancellati
dal loro stesso potere. Il progresso al posto
della civilizzazione, come fuga dalla responsabilizzazione.
LUNA DONNA |