DANIELA PELLEGRINI (cicip@libero.it) Io sono una 'vecchia scarpona del movimento delle donne' (femminismo, come tutte le parole in 'ismo', non mi é mai piaciuta) e sono del '37 ! Sono stata anche una donna in carriera (dirigente oltremodo pagata) ma ho mollato tutto per la politica delle donne. Ho fondato il primo gruppo di donne nel 1965 (si chiamava Demau = demistificazione autoritarismo patriarcale)
Nel 1981 ho aperto con Nadia Riva il Circolo Culturale e Politico delle Donne Cicip & Ciciap in via Gorani 9 a Milano e sono stata editrice della rivista 'Fluttuaria - segni di autonomia nell'esperienza delle donne'.
Stiamo organizzando il secondo round di un convegno tenutosi nel giugno 2001 sull'"agire delle donne" dentro e fuori dalle istituzioni. Ho inoltre in cantiere un lavoro su "il maschile nel 2000, ovvero il 'logos' della globalizzazione". E' un' analisi su quello che continua ad essere il fondamentalismo sessuato della cultura: il maschile contrapposto al femminile.




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Daniela (14 maggio 2005)

Nella specie umana la procreazione è un fatto essenzialmente sociale.
La ³natura² istintuale è stata celata e stravolta da imperativi culturali e di esercizio di potere: alcuni filosofi attualmente lo chiamano "bio-potere" (Foucault)

Un bio- potere che ha preso l¹avvio sulla coercizione delle libere e autentiche sessualità umane (da Freud definite multiformi e perverse) per piegarle a scopi riproduttivi , lavorativi , e di rigido controllo sociale.

Nell¹ambito generale della "migrazione" della sessualità verso l¹eterosessualità e la famiglia monogamica, quello delle donne è stato il percorso più coatto perché finalizzato alla procreazione come unica espressione e finalità della loro sessualità.
Un adeguamento alla sessualità del corpo maschile che nell'uso penetrativo del pene fa coincidere sessualità e procreazione. Nell'anatomia del corpo delle donne infatti la separazione non solo è presente, ma testimonia la possibilità di scelta (e questo dovrebbe servire anche al maschio se non volesse in questo atto asservire la donna e la sua figliazione).

Lo scopo è sempre stato infatti quello di ribadire il "potere" maschile sulla riproduzione della specie su cui esso non aveva controllo diretto e corporeo, rendendo coercitiva ed unica la scelta delle donne a produrre figli di cui potersi appropriare.

L'attuale "differenza sessuale" è perciò il risultato di un divaricamento estremo tra maschile e un femminile asservito , una " mascarade" fondamentalista , dove entrambi esibiscono, nell'ambito di una propria autorivalutazione (e nell'ambito della migrazione già avvenuta), un linguaggio che ricalca quello del potere che li ha generati.

Il "potere materno" contrapposto al "potere del fallo" : il Giano bifronte di un potere simbolico tutto al maschile.
E' forse per questo che le donne vogliono generare figli ad ogni costo (fino a che punto ce lo vogliono far credere e quante ci si adeguano?)
Ed è per questo che la scienza degli uomini fa di tutto perché ciò accada

Noi dovremmo sapere che la sessualità femminile può non essere più una traiettoria il cui fine ultimo è la maternità all'interno della famiglia edipica.
Ha ben altri luoghi e modi con cui esprimersiS

E dovremmo interrogarci sulla progressiva democratizzazione della sessualità e della riproduzione, ormai inarrestabile con la collaborazione tra capitalismo e tecnologia medico-scientifica a scopo di potere, sfruttamento e guadagno osando mettere in discussione i metodi e le teorie che ci siamo date per sostenere l'accesso e il controllo delle donne nell'ambito di un "destino" (??) biologico così massicciamente e culturalmente determinato.
Solo dopo aver fatto questo potremo NOI decidere sui nostri desideri, sui nostri desideri di scienza e di "quale scienza" .

Questo per dire che é soprattutto sulla pluralità identitaria di consapevoli e autonome "libertà" sessuali, e non sul desiderio coatto e fondamentalista di riconoscersi nei DUE, "ruoli o mascarades", entrambi messi in campo dal bio-potere dell'UNO , che si può liberare il mondo e le nostre vite, e soprattutto le donne.

Nulla infatti è cambiato: il potere maschile spinge e facilita in ogni modo, e perciò riconferma, il femminile nella procreazione (si chiama non a caso assistita!) per poter non assistere, ma appropriarsene così come è sempre stato dei figli generati dalle donne.

E' vero, la procreazione esiste, e si dovrebbe poterla scegliere, prima di accettarla come unico destino (o luogo identitario) o incaponirsi a esigerla quando questo destino non si compie "naturalmente".
Soprattutto perché, culturalmente parlando, "destino" e reale "desiderio" non sono decisamente la stessa cosa per una scelta autonoma delle donne.

Ma è una procreazione, quella assistita, "scorporata" dalla donna stessa.
Ed é in mano e nelle teste dell'onnipotenza maschile che tenta ancora una volta di prendere potere sulla riproduzione della specie a "prescindere" dalle donne e, prendendo potere su di noi e sulla determinazione dei nostri desideri, vuole ancora una volta sedurci alla sua onnipotenza.
E non è un caso che tutto ciò sia sbandierato come "dono" a favore della "coppia", e che di fatto a soffrire pratiche invasive e pericolose sia la salute psicofisica della donna.

Infatti, approfittando del desiderio reso esasperato delle donne di avere figli, oltre a bombardarle di ormoni, se ne "usa" l'utero come "luogo" per la produzione di ovuli che, una volta fecondati dal "seme" maschile vengono "scorporati" e messi nelle mani (o nei frigoriferi!) di chi li ha inseminati (i medici al posto e come i padri).
Gli ovociti sono un "prodotto", un oggetto da manipolare e vendere: l'espropriazione continua.
Alle donne viene restituito = impiantato solo parte dell'inseminato (due o tre ovociti, buoni o cattivi che siano, e sempre a loro giudizio) solo come "uteri" contenitori, perfino quelli "in affitto"!

Come vi permettete di legiferare sui corpi e sui desideri delle donne?
Come vi permettete di continuare a "medicalizzare" il loro corpo e a sfruttarle ipocritamente a vostro vantaggio, guadagno e potere?
Giù le mani!








La verità dell'oggi per me, quella che mi sconvolge e ferisce nel profondo, quella che mi mozza il fiato per vivere e le parole per dirlo o dire altro dal 'Discorso' delle specie fin qui, è che le donne ne sono, non soltanto desolatamente succubi, ma ne rappresentano - convinte e vogliose di essere tali - la 'seconda' parte portante e v(d)olente di esso.

L'affermazione e la valorizzazione della propria appartenenza al 'Due' degli umani e della propria 'differenza' ha incupito e stravolto il desiderio sicuramente sacrosanto di esistenza nel mondo, perché l'ha trasformato nella volontà di 'integrarsi' entro quello stesso discorso, quello dell'ineluttabilità della dualità così come si è strutturata storicamente a tutti i livelli di senso.
Sono passati i tempi in cui il movimento delle donne affermava che, dopo aver 'guardato' per secoli, aveva consapevolmente 'visto' lo scempio e l'orrore della cultura fin qui.
Compreso l'orrore di un femminile e di un maschile affiancati e reciprocamente legittimati dal Giano bifronte di un simbolico 'patriarcale' e dal suo potere secolare.
Un potere e un simbolico patriarcale che punisce le donne per le azioni e malversazioni da lui stesso compiute su e contro di esse!
La 'femminilità', di cui le donne vanno ora così fiere, non è soltanto il risultato dello sguardo patriarcale che teme e vuole espellere da sé quello che considera il proprio negativo (il crogiuolo di insicurezza e paura di cosa davvero esso è lo porta a differire da sé …nella istituzionalizzazione della 'differenza' altrui), ma è anche, e soprattutto, la terroristica giustificazione all'autoincensamento e affermazione di supremazia di ciò che negativo è di fatto e che il patriarcato agisce a tutti i livelli di senso: la violenza, la coercizione, lo sfruttamento, la competizione, l'appropriazione indebita, il razzismo…(Anche se ora lo si chiama 'globalizzazione': i tutti al potere dell'Uniformazione.)
Ora sembra che le donne siano tornate a essere immemori di quel potere, della sua scelta, e della coercizione entro cui esse per prime accettano le proprie e altrui 'differenze' e perciò continuano a sostenere e confermare i guasti irreparabili che la dualità - ben aldilà della spartizione di genere effettuata - ha determinato e confermato per secoli. Hanno così aperto nuovo e sempre più ampio spazio all'accettazione e alla ammirazione di sé a fianco dell'Altro. Un Altro a cui non togliere il potere e l'autorevolezza di sempre e a cui chiedere non solo spazio per la propria esistenza, ma riconoscimento e amore. E lo chiamarono 'realismo femminile'…un realismo conservatore e perbenista, dedito e dipendente dalla 'relazione' immutabile dei due poli fondamentalisti.
Ben aldilà della spartizione di genere, dicevo, perché il femminile e il maschile (natura e razionalità, subalternità e dittatorialità, debolezza e forza, perdente e vincente…) rimangono i pilastri portanti di ogni tipo di rapporto cosiddetto 'umano' e caratterizzano ogni comportamento della specie che, evidentemente, in questa dicotomia abnorme, tanto sapiens non é.
Ed anche se questi 'attributi' della specie e della sua conduzione del mondo 'sembrano' sempre più essere a portata di mano e perciò condivisi da maschi e femmine, ciò che continua a fare la parte del padrone è il 'maschile', quello culturalmente dato. Esso, e insieme a lui il femminile, non potranno mai cambiare nome se altro nome non avrà la civiltà di una nuova libera specie.

L'enfatizzazione dell'Altro ha fregato le donne, la miseria della Differenza culturale
coatta le ha riinvischiate nella dicotomia (acquiescenti? adoranti? sedotte o emancipate?) e ha tolto loro la forza di progettare Altro davvero. La loro opera di civilizzazione si è arenata davanti al solito vecchio coito culturalmente maschio e non interruptus.

Questo per me oggi rappresenta l'abnorme rinuncia delle donne alla ricerca di una 'invenzione' culturale e antropologica che modifichi lo sguardo e il praticare il mondo per tutta la specie.
Uno sguardo ed un'agire che ci ponga in una posizione altra da quella conosciuta, quella che perpetua una scelta/non scelta antropologica legata al conflitto, alla contrapposizione, alla violenza istintuale dell'età della pietra. Quella che ha voluto 'questo' maschile come vincente, anche per le donne, soprattutto quando affermano di voler essere a loro volta 'vincenti'.

Daniela Pellegrini marzo 2003







La critica al potere del sapere è ancora nelle mani del potere del sapere. Anche le donne, forse per pervicace seduzione al maschile, all'Altro della differenza non affatto criticato se non nel potere di sé medesimo che l'ha definito (come se, privato di quel potere, potesse esistere com'è ed essere reale e vivo - o viceversa)
Criticare il suo potere - con una identica critica al sapere - serve solo a confermarlo, il maschile così com'è e perfino la "'sua" critica al sapere quando esso la metta in campo.
E' una questione di 'differenza' dove la 'seconda' (e inaudita) si riconferma all'Altro differente mantenendolo tale e quale.

L'ignoranza e la cecità delle donne 'di pensiero', quelle erudite allo specchio dell'omo', sull'esperienza 'detta' nella pratica reale e viva delle donne del movimento, è abissale.
Tanto da attribuire a 'omini' eruditi l'origine del loro dire di donne, dal e nel corpo vissuto.
Così ugualmente le 'politiche' che attribuiscono l'erompere del movimento delle donne a un 'neutro-omo' movimento maschile che ha creato il 'clima' adatto…
E' incredibile il pedaggio di dipendenza che mettono in campo.
Qui nessuna sembra ricordarsi, vedere, sapere di cosa si sta parlando: potere fallico fatto sapere e agire.

La differenza 'bio' esiste, è lì da vedere, perciò è inutile negarla come tale, ma proprio le conseguenze che tale bio-differenza ha messo in atto rispetto al 'desiderio'(?) di potere dentro e nella costruzione della cultura a scapito di una, l'Altra, bio-differenza, dà segno evidente della pericolosità concreta e 'bio' della differenza maschile - quella che nega a priori le libertà plurali dell'essere 'anche' bio.
Questione di testosteroni? Ahimé che tristezza sarebbe.
La cultura, il potere del fallo ne è la prova.
Non basta la resistenza, che sicuramente esiste ed opera, deve sparire il testosterone in eccesso, per le libertà del femminile, ma anche per quelle del maschile, dal potere/sapere fallico. E che tutto, tutte e tutti abbiano altri nomi altri respiri di libera esistenza.

Ma se si continua a essere sedotti ed a esaltare 'chi ce l'ha più duro…e/o a competerci, non si lamenti nessuno, neppure le cosiddette vittime o i suoi cosiddetti perdenti (eunuchi?)

Chi parla di indeterminatezza di soggetti e oggetti se fuori dal potere-sapere fallico è con lui.
Il corpo femmina è decentrato, sia rispetto al fallo che rispetto al piacere fallico
Ma la 'necessità naturale' (?) di procreare 'costringe' la donna a mettersi nelle mani della sessualità maschile. Questo la stravolge. Immola alla maternità (e vi è spinta culturalmente dal desiderio del maschio di appropriarsene) il suo desiderio e il suo piacere. Esiste un intreccio tra necessità biologica (divenuta l'unica verità culturale) e la coercizione e sfruttamento testosteronico maschile.

Il corpo femmina non avrebbe bisogno di resistenza ma andare per le sue multiformi strade additandole a tutti (e sono queste che terrorizzano il potere testosteronico, che ha voluto tacerle, costringerle ad un unico uguale a sé stesso, con pervicace ostracismo e violenza ).

L'enfatizzazione sull'erezione (più duro) per assicurarsi ed appropriarsi dei figli (invidia maternità) e del potere-sapere di e su tutto il resto: questa è l'origine del potere-sapere fallico di cui si parla e da cui si è ammorbate/i.

E' inaudito - anzi visibilissimo - quanto il maschio abbia vissuto come stato di inferiorità biologica la sua esclusione dal risultato della procreazione (gravidanza e parto) e si sia percepito impoverito e "privato". Ha così voluto capovolgere questo stato di cose diventando ricco e straricco, chiamando "privato" - cioè "suo" - tutto ciò di cui egli si sente 'privato'. E se n'è impossessato (e continua) a partire dai figli generati dalla femmina, fino ai doni della natura: terre, fiumi, aria, acqua, semi…
E questo "suo privato" divenne il marchio di questa cultura depredatrice, devastatrice e sfruttatrice su tutte le cose e gli esseri del mondo.
E il mondo continua ad "eleggere" (meglio, "ereggere") democraticamente il fallo più duro a suo padrone seguendolo ciecamente. In presenza di quelle che si sono chiamate rivoluzioni contro il dittatore o i dittatori di turno, la speranza che ciò venga meno è sempre stato un palliativo periodico in attesa di innalzarne a propria volta uno altrettanto duro.
Se fossi maschio mi vergognerei…
Quando vedo un uomo che porta in giro se stesso, quel corpo di carne dimentico di sé e della salute del mondo, tronfio di sé, mi dispero per la sua irragionevole e supponente inconsapevolezza.
Siamo in attesa di autocritica e di testosteroni sedati, quello che basta alla sua (di lui e della sua cultura) civilizzazione.

La prima regolamentazione che il sapere - non tanto della differenza bio, ma della privazione dell'oggetto figliato - è attuata dal maschio sulla femmina, per potere di possesso sicuro su ciò che non ha e a cui dare il proprio nome e il proprio 'marchio'.
A seguire: tutte le regolamentazioni a scopo di approprio a cui dare nomi che ne nascondano l'origine reale, 'naturale'. Dalle terre, all'acqua, ai semi…il 'logo' testosteronico impazza.

Questa è la bio-ossessione maschile, sostenuta forse dal testosterone in eccesso, ma, poiché sarebbe attuare una colpevolizzazione non necessaria,, secondo me quest'ultimo viene usato come prova della verità giustificante di questo agire il sapere-potere fallico, anche contro i maschi (eunuchi?)
Come potrebbe tutto ciò non essere compenetrato alla violenza, alla coercizione che la cultura 'omana' perpetua da secoli..e continua?

Perché non è solo nel sapere-potere che ciò si dispiega - sapere-potere che è retaggio e consolazione agli 'eunuchi' di categoria 'bio', così che il testosterone non umilii i sapienti divenuti potenti culturamente.
Il testosterone prende forma nella figura truculenta del guerriero, del forzuto, del devastatore = conquistatore di cui questa cultura designa l'eroicità, la esalta e la rappresenta come simboli ossessivi della storia 'omana', erigendo monumenti, riti e tradizioni mortifere.
E tra i sapienti, bio-eunuchi ma potenti fallicamente, e i conquistatori testateronici, c'è un subdolo legame di complicità sottaciuta e di competizione tra vincitori: tra fallici e biotestosteronici. Li si vede spesso litigare appassionatamente tra loro in un gioco subdolamente (non tanto) erotico per vedere chi ce l'ha… meglio : il duro bio e il duro simbolico.
Stessa specie, dannata per la specie.

Il potere della "verità" omosoggettiva ha soggiogato l'oggettività delle verità libere e plurali e creative…

Vedere tranquillamente la realtà esistente, conoscerne le verità senza punto di vista (di potere)….


Daniela Pellegrini

Giugno/luglio/agosto 2004







27-09-2001
Il 'marchio' del maschile negli anni 2000 ovvero
Il 'logos' della globalizzazione:
forma estrema del binomio patriarcato/capitale



Che c'è di tanto nuovo, 'dopo' il patriarcato, se continuano a 'marcare il territorio'?
La simbolizzazione duale che ha sedimentato e rese ineluttabili le caratteristiche sessuate bipolari della specie umana (le barbies e i soldatini di piombo!) ha operato un'affidamento cieco e protervo della cultura, e delle sue azioni, al fondamentalismo maschile dell'aggressività, della competizione e dei 'logos'.
Il maschile come valore dominante continua così a impedire una vera civilizzazione della specie umana.

E' sconcertante infatti rendersi conto di come si siano mantenute ed agite nei secoli solo quelle affinità con il regno animale, per quest'ultimo del tutto istintuali, che vengono definite più cruenti e spietate, quelle da cui l'homo sapiens avrebbe dovuto discostarsi ed ha anche detto di voler superare a dimostrazione dell' 'in più' della sua specie. Ma l'homo sapiens è proprio 'homo', con le sue caratteristiche maschili ormonali a tutto campo!
Affinità cruente che l'intellettualizzazione (logos = maschile) non ha affatto cancellato e superato, ma, anzi, ha invece concettualizzato e sostenuto essere la base del vero (e perfino del giusto) dei rapporti che riguardano la sessualità, i sessi, i rapporti territoriali, di proprietà e di razza, la supremazia del più forte, ecc.
Le affinità positive sono state relegate alle donne, in qualche modo 'costrette' a incarnarle in modo esclusivo e da sole, che hanno continuato nella loro opera di coordinatrici sociali nelle relazioni, preservatrici e ricostruttrici di vita… anche di quella del 'maschile' in quanto dominatore e possibile distruttore e violentatore (il riposo del guerriero vi dice qualcosa?). Non abbiamo sentito nessun 'grazie', ma solo disprezzo…
Ma non rivanghiamo; e poiché pensiamo che il 'femminile' può civilizzare il mondo siamo dispostissime a condividerlo coi maschietti disponibili. Il dualismo è una fregatura per entrambi i sessi e per la vita della specie: dovremmo rendercene conto, per diventare finalmente una 'specie sapiens/sapiens'.

Perché intanto la sete di erezione di questo 'maschile' continua a sostituire la possibilità di una vera civilizzazione della specie con un suo rutilante fac-simile: il progresso. Un progresso dispensato virtualmente a tutti, ma di proprietà di ben pochi. Ma questa è l'era dell'ottimismo!
Un progresso il cui risvolto negativo per l'ambiente e per i viventi è spesso assimilabile nelle conseguenze a veri e propri atti terroristici: vedi per esempio Seveso, Cernobyl, mucca pazza, affondamenti petroliere e inquinamenti vari … e buon'ultima l'esplosione delle fabbrica chimica in Francia.
Atti terroristici messi in cantiere e messi in atto da un 'maschile' che, ignorante di ogni senso del limite e di responsabilità verso la vita, pensa che tutto gli sia permesso e dovuto, a scopo di potere e di ricchezza.
E' un progresso legato al senso estremo della proprietà privata (l'urina animale che marchia il territorio del possesso) su cui si fonda tutta l'economia e che instaura perciò l'impossibilità ad accedere anche alla pura sopravvivenza a chi non è di categoria animale 'alfa', se non sottomettendosi a chi si impone violentemente per esserlo.
E' un progresso che viene imposto come marchio di fabbrica e immagine 'vincente' di quel maschile a cui tendere ed adeguarsi.
E' un progresso che prende possesso dei prodotti della sua riproduzione della specie (dai figli alla clonazione compresa), dei suoi prodotti della natura (i 'suoi semi'! e piante compresi), sui prodotti scientificamente e tecnologicamente alterati, transgenici (a imitazione invidiosa e perciò più lontani possibile della natura considerata 'matrigna').
E tutto ciò avviene in un delirio di potere, competizione ed appropriazione indebita che fa di questa cultura 'umana', ormai sulla via della globalizzazione mondiale, la peggiore delle possibili. Una globalizzazione che non fa ormai discriminazioni sessuali esplicite tra uomini e donne, poiché la discriminante del maschile contrapposto al femminile ha globalizzato anche i sessi.
Entrambi, e come sempre è stato, protendono verso il maschile e soffrono di una eventuale 'femminilizzazione' a loro carico che tende ad escluderli dal potere, dalla ricchezza, dall'autonomia, dal poter essere… felici!
E il terrore di trovarsi in queste condizioni rinfocola ancor più la competizione e la rivalità maschili che metteno in scena su scala mondiale (e anche nei particolarismi nazionali interni) tutti i suoi rutilanti fondamentalismi (compreso quello sessuato), vessilli di guerra per 'decidere chi ce l'ha più duro'!
Sembra proprio che su questo si fondi la cultura della specie. Gli altari della gloria, dei combattenti e degli eroi e delle vittorie e dei 'capi' segnano le tappe della sua storia da millenni e tutto ciò viene sbandierato e incensato come 'grandezza' dell'umano (neutro/ maschile).
I venti di guerra (che si chiami vendetta, che si chiami umanitaria, che si chiami 'ho ragione io' e dio è con me)) fanno luccicare gli occhi e palpitare i cuori di masse ululanti di maschi, coi loro fucili, missili, bombe più o meno nucleari, in una apparente, e talvolta definita da essi stessi, irragionevolezza, ma che dice delle loro ragioni di affermazione 'maschlle'. Come mai nessuno se ne accorge? mette in cantiere una logica autocritica … E corre ai ripari?
Per i maschi e i loro comodi di potere si può capire, e anche per quelli più illuminati e critici : come potrebbero mettere in discussione la propria immagine e il proprio 'marchio' di fabbrica (maschili) se è proprio quella cultura a rappresentarli ? Cultura di cui sono fieri soggetti e fautori da secoli?

Ma la propensione al maschile ha nuovamente e subdolamente contaminato anche il soggetto donna, quello che ha preso coscienza di sé, non solo entro un percorso di emancipazione, ma come risultato del percorso di auto/rivalutazione e autorevolezza compiuto dal movimento delle donne ai fini di evidenziare con forza e determinazione la logica dei Due soggetti, contro il soggetto neutro (al maschile), e contro il patriarcato.
Propensione al maschile che, grazie all'emancipazione (dove naturalmente viene 'permessa' da benevoli 'homo sapiens'!), fa acquisire alle donne la possibilità di far proprio questo maschile ed agirlo. E grazie alla rinfocolata estremizzazione delle due differenze, operata da una certa parte del movimento delle donne, che finisce per riproporre il maschile come essenziale polo di attrazione, seduttivo e ineludibile: l'Altro per eccellenza.
La 'visibilità' e il 'riconoscimento' di questo essere Due soggetti, dipende ancora dalla benevolenza/comprensione di questo Altro, che deve prenderne atto.
Ma maschile rimane… e il maschile contrapposto al femminile giocano come sempre brutti scherzi di cultura.
Non voglio certo mettere in dubbio che siano di fatto, e soprattutto per esperienza secolare, due soggetti distinti a incarnare queste due differenze. Sono lì da vedere.
Ma voglio mettere in discussione la scelta culturale che ne ha determinato l'estremizzazione in un rapporto di potere tutto a vantaggio di quello che continua ad essere definito il polo vincente, quello della seduzione e dell'arroganza del maschile. Anche per le donne, anche dentro la nuova logica 'relazionale' da esse inventata e voluta.
La soluzione non risiede certo nella semplice (?) valorizzazione e aumentata autorevolezza del femminile, ma in una drastica messa in discussione culturale del maschile, con il quale non c'è mediazione praticabile o possibile.
E questo soprattutto se si è convinti che esistono ineludibili basi biologiche e ormonali (quelle che hanno potuto permettere una simbolizzazione del femminile e del maschile estremamente bipolare e perciò antagonista) a determinare i comportamenti e le propensioni dei due sessi.
Insistere a sostenere (e a insegnare e incensare) la naturale aggressività e competizione del 'maschile' nell'uomo ha portato la nostra specie ad inaudite aberrazioni culturali (la violenza come mito e come pratica), sociali (aggressioni e discriminazioni sessuali, razziste, economiche) e di potere (sfruttamento, alienazione, dittatura, guerra).
C'è un esempio in 'natura' che potrebbe suggerirci qualcosa: è ormai documentato che certe scimmie antropomorfe, benché all'oscuro dei propri DNA, riequilibrano l'andamento sociale del branco escludendo dalla riproduzione della specie i maschi troppo aggressivi e violenti!.
Ma, per non arrivare a tanta discriminazione (non copiamo il maschile!), basterebbe modificare il nostro sguardo culturale e tendere alla civilizzazione di un maschile che ci fa sprofondare sempre di più nella distruzione e in una sempre rinnovata 'età della pietra', anche se sapientemente camuffata da raffinati pro(gr)Essi e dai loro logos più o meno virtuali.
Noi siamo state consenzienti a riprodurre questo stato di cose, perfino tra noi. Ora è tempo di cambiare rotta.



IL DOPPIO BINARIO DELLA GUERRA



Il mio è certamente un sapere 'collocato', quello che è scaturito da un lungo percorso di pratica nel movimento delle donne. Un percorso che, per me ancora oggi, si separa dall'omologazione alla cultura costruita e praticata fin qui. E da ciò prendo e mi dò sguardi e parole.

E' incredibile accorgersi, se si riesce ad accorgersene, con quale e quanta pervicacia il mondo in cui siamo sommerse riproduca ed esalti concezioni, significati, intendimenti e comportamenti come se fossero connaturati e perfino 'logici' all'essere della specie umana. Perfino quando, in ben pochi casi eclatanti, ne sa leggere e deprecare la nefandezza. Sembra in questi casi goderne nel poterne decretare e agire la 'punizione'. Quando 'la punizione' é già di per sè un caso eclatante, un segno significante della nefandezza tutta. Messa lì a nascondere l'identificazione e la complicità che ha prodotto, proprio grazie a quello 'scontato', tutto il suo aberrante. E ciò cancella ogni possibilità di modificazione, di scelta culturale diversa.

Il simbolo estremo di questo ridicolo modus vivendi (si fa per dire) è la guerra. Essa è considerata 'santa' da e per tutti i contendenti in campo; ed è agita e valutata in base a quanti più morti e catastrofi essa possa produrre (al suono di eccitanti trombette d'assalto e violini di postuma commozione) per definirne l'eroico vincitore. Chiunque esso sia, egli brinda con occhi pieni di lacrime di coccodrillo, al suo giusto e sacrosanto averne ammazzati di più. E riceve in premio e riconoscimento il bacio soave della mamma e della sposa (che hanno rischiato nel frattempo di essere stuprate dal 'nemico!).

Perché un altro esempio lapalissiano (e scontato) del modus vivendi et amandi (si fa per dire) di questa 'naturale' scelta culturale, è lo stupro (Ex Jugoslava e Somalia comprese). Esso ha culturalmente radici non poco evidenti in una significazione, esaltazione e gestione della sessualità definita 'maschile' (e drasticamente bi-differenziata e genitale) in termini di 'unica modalità del desiderio' per tutti, di 'naturale' aggressività, di 'logica' di potenza e soprattutto di potere. Potere perciò anche di stupro. Perché stupirsene?
Accettato tutto ciò che sta a monte di un gesto estremo (?), ci si lamenta e inorridisce, quando non si insinua che anche alla vittima sia piaciuto, dato che in quella metodologia è 'naturale' che essa si riconosca. Di questi tempi essa può perfino operare una seconda (meglio dire 'as/seconda') torsione - dopo la prima di freudiana memoria - e da preda farsi cacciatrice! Quale miglior metodo per poter continuare a dire che questa è la sessualità della specie e che perciò questo 'maschio è bello'? Perfino le donne.
Ma l'aggressività, la forza, il potere esaltati attraverso il 'genere sessuato'(e la genitalità) che li significa divengono metodologia di gestione del mondo, di stupro del mondo (con annessa e connessa commozione e postumo vituperio). E' così 'naturale'! E così reale e realistico che tutta la vasta gamma di possibili segni, rappresentazioni, sollecitazioni di cui si nutrono le vite dell'umanità, proprio su ciò si incentra e con dovizia di particolari; su ciò si imposta e si impone il modello bifronte a cui tendere, in una visione eroica, da 'imitare' e da amare. E poi ci si stupisce che gli uomini siano uomini proprio così e si vuole che le donne siano donne solo 'insieme' o anche, ora, 'a' loro.

Il movimento delle donne sembrava aver intuito tutto questo, dico sembrava perché ora il desiderio di esistenza forte, di auto rivalutazione dentro questo mondo le ha rispinte su una strada dal doppio bi-nario, ma che a mio avviso, come ogni bi-nario che si rispetti, ha una strada sola da seguire.
Nella fattispecie: affiancarci in parallelo, e sicuramente con autorevolezza, a un binario portante già esistente, ma inamovibile perché immodificabile, porta forse a possibili deragliamenti 'differenziali', ma non apre di per sé a davvero nuovi itinerari per nessuno.
Ho anzi il sospetto che attivi una rieditata complicità, basata sull'accettazione della 'differenza' inalienabile e immodificabile dell'Alterità (quella data e data per scontata), con tutte le perniciose conseguenze simboliche e pratiche che ciò comporta. Quelle che sono lì da vedere.

Per questo ormai da molti anni mi interrogo su come aprire nuovi itinerari.
A partire dalla 'differenza' e dal suo bi-essenzialismo genitale a scopi riproduttivi che appare essere la base portante e ineludibile di simbolizzazione per la cultura della specie fin qui, ma anche, ora, della cultura delle donne.

Avevo iniziato a farlo nel 1989, propositivamente e creativamente, in uno spazio che mi concedevo libero da forzate decostruzioni, nell'articolo 'Abitare il mondo' sul n°13/14 di Fluttuaria:

"Non ci manca certo, a tutt'oggi, la pratica di riferimento al nostro genere, anche se non basta definirla, dichiararla preferenziale su ogni altra in termini astratti. Anche e dove si fa concreta e reale, manca la chiarezza e la determinazione progettuale complessiva. Il rischio è infatti quello di permanere nel dato ontologico e progettuale esistente, a cui affiancare semplicemente la propria voce, continuando a chiamarla differenza. Il termine é ormai accettato da tutti: dentro ci viaggiano tutti i tipi di differenza, anche i più ritriti. Accogliere un siffatto tipo di differenza rischia di cancellare di nuovo il soggetto: le donne saranno fagocitate un'altra volta da chi ha sempre voluto trarre profitti di potere.
Penso che alla chiarezza della nostra differenza di oggi e di sempre, manca la coscienza che la nostra materia è la materia del mondo, quella che prevede le due e tutte le differenze. ma non ne fa simboli né singolarmente preferenziali, né ontologicamente ricomponibili in una stravangante perfezione di somma, doppio, complementarietà, unione degli opposti. E finisce per dare senso e valore meramente sessuale alla complessità dell'esistenza, basata un'altra volta sull'infantile sensazione della mancanza da colmare e non sulla matura accettazione della 'parzialità' oggettiva, compiuta in sé, e più che sufficiente per vivere creativamente nel mondo vario e plurale che ci circonda e delle sue infinite relazioni..
La nostra identità di genere si basa sulla presa di coscienza che proprio l'attribuzione di valori differenti alle differenze sessuali ha attuato la nostra cancellazione ( e il 'disvalore e suddittanza' di ogni elemento o soggetto descrivibile come 'femminile'). Non possiamo ora riaffermare tale attribuzione dicotomica semplicemente per entrare nel gioco. Noi possiamo sopravanzarci, mettere le basi per una vera rivoluzione ontologica.... Detto ciò non sembri strano che io mi autorizzi ad affermare che bisogna ridimensionare le differenze di genere a tutte le diversità e parzialità del mondo. Altrimenti perpetueremo anche noi la smania delle categorie binarie, della contrapposizione, dei dualismi, anche se dialettici, del far quadrare il cerchio del due in uno (anche se finalmente proprio due). Dell' universalizzare ciò che l'universo stesso smentisce di essere, non Uno ( né due), ma tutto, tutte, tutti.....
" (Pag.64)

Poi nel n°15 della rivista con "Essere e non esserci, ovvero: due non è abbastanza" (1991):

(pag. 8 e 9)
Ora dobbiamo farci arbitre sia della contraddizione fra i sessi, sia del conflitto che ne deriva, per poterci sottrarre definitivamente alla sua pratica di alterità e dualità estremizzate in tutte le sue forme culturali.
Affermare la nostra differenza è stato necessario e fondamentale quanto ora non persistere nel privilegiare il rapporto con la differenza dell'Altro. Privilegiare la differenza di genere significa autorizzargli/ci nuovamente il conflitto nell'ambito duale. Affermare il doppio soggetto storico è evidenziare ciò che è avvenuto di fatto...
Per sfrondare il campo da ogni nuovo rischio è necessario uscire dalla relazione/scissione del "due" ed entrare in una terza posizione. Il due va riconosciuto e smascherato come ordine maschile (per il suo potere) di un sesso contrapposto o anche, si spera ora, affiancato all'altro, di un sesso - e un senso - che trae la sua ragione, se non più da manifesta opposizione, pur sempre da due sole differenze. Le uniche riconosciute....
La terza posizione non sta a significare un terzo dopo l'Uno e il Due. Né il"terzo", quello riconosciuto in questa cultura dalla psicanalisi, dalla giustizia o dalla politica, né un nuovo Uno che si fa carico del Due.
Anzi sta significare un "relativo plurale" di "ogni" differenza e perciò di ogni parzialità di soggetti e di soggettività ....
Questo è il nostro punto di avvistamento, quello della possibilità di soggettività e di rapporti plurimi differenziati, mediati, concatenati, in una serialità e variabilità dove i termini dei conflitti si stemperano per scelte reali di vita, parzialità di desideri, emozioni, valori, qualità e quantità, dati soggettivi ed oggettivi. Del debito che ogni relazione apre e che in ogni caso va rispettato e mantenuto aperto perché essa stessa non si neghi, debito però relativizzato a una pluralità e non a una dualità coatta di soggetti, sessi, significati, valori. Relativizzato a una temporalità fluida nell'arco di una intera esistenza. Il "terzo" è ciò che è disposto all 'accoglienza delle infinite possibilità che ogni soggettività vivente, finita, può porre in essere e praticare. ....
Per agire il mondo c'è bisogno di saperlo affermare come proprio. Non si trattta di spartirlo con chicchessia, ma di renderlo aperto e praticabile per tutti.
In pratica ciò significa esplicitare fino in fondo la libertà dal Discorso e dal modo del conflitto maschile (quello del Due e del 'fuori di sé') sottraendosi al luogo, al rapporto e al dialogo diretto, a una logica che ci vede, ci ha viste, prima perdenti ed ora dipendenti.
Usiamo della nostra 'differenza' (anche sessuale, ma non preferenzialmente tale) come capacità storica, esperienziale di elaborare reciprocità e non complementarietà, parzialità e non uguaglianza, diversità e non 'differenza'.
Assumiamo come intera la nostra soggettività e interagiamo fino in fondo con noi stesse e con le donne e non semplicemente in un relazione privilegiata e perciò relativa quando giocata nel luogo dell'Altro, nel luogo del due irriducibile.
Creiamo in noi e tra noi un luogo ove rapportarci con ogni valenza della relatività e parzialità - anche quella del due per quanto ancora ci appartiene....
Lo spostamento dei rapporti binari dal fuori di sè al dentro di noi, tra noi, segnerà la nascita di un altro luogo, quello del 'relativo plurale', complesso, mobile, relativizzante che darà conto della nostra differenza e di tutte le parzialità del mondo. ......
Perché Due non è abbastanza. Noi continueremo a privilegiare e agire la relazione in ogni contesto che rechi il segno della parzialità, ma solo ove essa si faccia reciproca....................

Circondata dalla distrazione e dalla incomprensione generale al riguardo, che restituivano solo inascolto a queste mie intuizioni e proposte, mi sono forzatamente impegnata a 'chiarire' un processo di decostruzione che fosse comprensibile entro il terreno pensato e praticato dal movimento e dalle donne presenti: il terreno della teoria (e della pratica) della differenza.
In "La differenza coatta, errori e distrazioni simboliche nella radicalizzazione dell'Alterità sessuata" (1992) sul n°16 di Fluttuaria:

(pag. 8)
"Ogni donna, del suo percorso della sua crescita, porta dentro di sé uno o più marchi indelebili di illibertà. Sono segni del potere, iniziazioni a quel maschile e al suo rispetto, sono seduzioni dell'alterità vincente che ci hanno fatto sentire vive dentro gli stereotipi di questa cultura e ce li hanno fatti assumere come nostri, dentro e fuori di noi: il risultato è una complicità con e per ciò che è 'vincente'.........
L'ego maschile fa la guardia contro la 'pazzia' della nostra libertà a vantaggio di una identità 'vincente' anche per noi. E' sull'avvistamento di questa 'pazzia' che il separatismo degli anni Settanta ha visto il ritrarsi di molte dal perseguire un'autonomia culturale che ci privava di ogni regola e riferimento codificato, di ogni punto fermo e, non ultimo, dello stereotipo maschile.
Voglio credere che non sia per salvarci inconsciamente da questa 'perdita', che abbiamo voluto valorizzare la nostra differenza, ma dentro tale visione dicotomica il rischio io dico che c'è.
Ho sempre avuto il sospetto che questo simbolico, quello a cui si dice di voler affiancare uno femminile, ci appartenga totalmente. Che poi entro tale simbolico noi abbiamo rappresentato la parte perdente, finora muta, cui il potere tutto appartenente al maschile, proprio perchè questo e così è il maschile , ha impedito un esprimersi libero e creativo del femminile non ci piove.
Ma è anche vero che al femminile dimezzato dello stereotipo di questa scelta culturale appartiene l'idea che il potere non solo sia maschile, perchè di fatto lo è, ma che sia giusto così. Infatti che noi siamo inconsciamente addirittura consenzienti appare vero sia a livello teorico che nella pratica. A livello teorico quando il femminile acquisisce potere attraverso categorie razionali r di rappresentazione autorevoli di sè mimetiche e/o parallele di quel maschile, e nella pratica quando esso ricerca visibilità entro il mondo dato, cioè in presenza dell'immutabile 'altro'. Del potere di Sua Alterità si ha bisogno per esistere nella sessuazione di questo simbolico delle due differenze.
Credo perciò che il maschile di cui si parla tra noi e che abbiamo agito a scapito delle nostre relazioni ... sia tutta una questione di distrazione simbolica. Ciò che ci porta a dargli valore e ad usarne le qualità come vincenti è la sua parentela con un potere legato all'alterità per eccellenza .
Quando noi agiamo tra noi o col mondo 'esterno' lo facciamo sempre attraverso la sopravvalutazione della dualità così da agire distrattamente il simbolico maschile tra noi per darci ragione e valore, mentre ricerchiamo visibilità e riconoscimento fuori di noi, da parte di quel maschile, che chiamiamo addirittura mondo, l'unico che possegga la forza simbolica dell'alterità per eccellenza.
Finché non l'avremo scalzata totalmente nella pratica reale delle nostre vite, insieme alle sue due noiosissime facce, il mondo che volevamo mettere al mondo avrà lo stesso sapore di rancido, quello della dipendenza e della seduzione univoca e coatta del Due o del conflitto, più o meno taciuto o molto osannato, usabile a scopo di potere.........

Ho continuato a decostruire ne "Il valore differito" (N°17) apparso in seguito (1994). Si trattava di un numero della rivista dedicato al tema: 'denaro'.
Avrei forse preferito non doverlo fare (decostruire intendo). Anche se molte dicono che va fatto e molte lo stanno facendo come unica metodologia creativa.



(pag.2)

...pochi i pensieri legati alla materialità, al denaro e al senso del suo valore, poiché a poca materia, se non antica e già codificata ed espulsa da ogni onore trascendentale, noi siamo state capaci di dare nome, vissuto e concretezza diversi. Perse forse in pensieri esaltanti sì, ma quanto stereotipatamente legati al desiderio anche per noi di un 'riscatto' dalla materia. E al denaro chiediamo di attribuirle valore. A questa materia a noi assegnata culturalmente e socialmente che è rimasta anche per noi e il nostro pensiero abbruttente, rozza ed oscura. Forse qualche dubbio l'abbiamo espresso, chiamandola amore, ma sul denaro c'è resistenza testarda.
Questa nostra materia doveva accedere al Verbo, doveva parlare per redimersi, ma l'unico linguaggio che le abbiamo riconcesso è quello di una astrazione e di una ricerca di simbolico basato su una ereditata materia che ci definisce a priori (mater). Essa 'deve' perciò essere, perché lo è la materia che l'origina, contrapposto a quel simbolico Altro (quello che dalla materia si è staccato).
Ma così facendo, quanto mimetica diventa questa ricerca di un simbolico con il quale dimostrare che nell'olimpo dei suoi valori trascendentali questa nostra materia (e ancora 'solo nostra') ha diritto di cittadinanza. Abbiamo anche bisogno, e come sarà mai possibile, che vi sia riscontro di valore in moneta per una materia tradita?
Il problema, il conflitto di una dualità rigida e inalienabilmente differente tra i sessi viene assunta e supinamente riattualizza l'impossibilità di una coincidenza tra materia/pensiero/storia che invece accomuna tutta la specie e non la divide in categorie dualistiche e di 'specializzazione'. E non si può affiancare a mio avviso un simbolico di chi è, storicamente, e riconosce come solo propria quella materia, a un simbolico di chi non se la riconosce e l'espelle. Così che la coincidenza tra materia e pensiero, che noi avvertiamo nelle nostre vite e nei nostri desideri, viene totalmente cancellata in presenza del valore denaro a scapito di ogni nostro sforzo. Dato che il denaro è lì a sostituire la materia, svilendola fuori dal suo valore.
Ma i piani del discorso sono terribilmente complessi e ancora in balia del Discorso che implica una strettissima relazione e interrelazione tra una genealogia psichica/economica/storica-culturale che ha portato all'instaurarsi di valori fondamentali,'universali", difficilmente valutabili fuori dalla logica del Discorso stesso, e fuori perciò dalla affermata denegazione della materia che
l'ha prodotto.
............molte conferme nel merito ho riscontrato in un saggio di J. Joseph Goux intitolato: "L'oro, il padre, il fallo, il monarca e la lingua" (nella versione italiana, edita da Feltrinelli nel 1976, in "Freud, Marx, economia e simbolico").
..............Egli usa delle categorie psicanalitiche e di quelle marxiste per leggere la sincronicità genealogica tra il processi di sviluppo psichico e quello economico nella costruzione dell'identità del soggetto e del valore di scambio tra soggetti e tra oggetti. Entrambi i processi, egli dice, prendono forma e senso in un lungo percorso ascendente e sempre più 'differito' da una uguaglianza/equivalenza e di equivalenze relative e interscambiabili (tra soggetti simili - tra oggetti di uguale o simile valore) fino all'invenzione (lui dice: arbitraria!) di 'equivalenti generali, interpreti e simulacri, sempre più
differiti ed astratti, del valore di ogni esistente. Essi sono: l'oro, il padre, il fallo, il monarca e la lingua.
................."differire' .... processo sostanziale della cultura umana (quella che si è costruita fin qui). un differire dalla materia, dalla natura, un allontanarsi dal reale per sostituirlo e cercare di rendersene padroni e arbitri. Il reale ha poco prezzo se non sono io a dargli valore, costi e prezzi. La materia è ottusa se non sono io a darle pensiero, regole e forma (a comiciare dal lavoro della produzione della specie). L'io maschile del mondo è su questo che ha costruito la sua onnipotenza, scordandosi che la materia cerebrale che gliel'ha reso possibile è già di per sè, ha già pensato per lui questa possibilità.
Ed è un differire che si discosta sempre più dalla coincidenza, somiglianza, assonanza, condivisione ........ Esautorando l'esistente, diventiamo schiavi del nostro differire da esso.
Processo del differire che introduce la questione della differenza..
"La differenza, concetto economico che designa la produzione del differire, nel doppio senso di questo termine" (Derrida) e cioè allontanarsi e differenziarsi.
Essa rappresenta perciò una deviazione, un uso stornato di sè, e i mezzi di rappresentazione di questo sono gli strumenti di una deviazione ... per differire. La differenza è perciò un'operazione e non una struttura data.
In particolare, rispetto al processo della creazione del soggetto anche Goux conferma come sia "l'Altro il luogo della generazione significante".
.......................................... ....................................................................
.......... mi sono fatta cogliere da un terrificante sospetto. .....quale responsabilità ha il genere in cui mi situo rispetto al decorso di una cultura che apparerentemente ora contesta ( o meglio, contestava)?...............................
............ chi se non soggetti più simili perché tra loro più vicini per un'uguaglianza esperienziale, quella della gravidanza e del parto, in cui il corpo, la materia non sono eludibili, possono aver instaurato questo processo genealogico di strutturazione dell'Alterità (fuori di sè e da quella materialità) come riferimento di valore 'differito', tramite l'esclusione, l'inessenzialità, il superfluo, e perciò luogo della trascendenzialità..........................................
Ed è averlo feticizzato proprio in quella specifica Alterità (Padre, Fallo, Monarca) che gli abbiamo dato il Potere di dare (e darci) valrore e perciò di darlo anche alla materia che, in quella parte che è rimasta concretamente nostra, resiste, estranea e a-simbolica. Quale è stato il sesso prescelto a questa funzione sembra perciò dare una risposta inquietante al mio dubbio.
Il dubbio che possa essere stato il nostro sesso ad attuare la scelta può nascere dato che siamo state noi che, sotto il potere dell'Altro da noi eletto, ci siamo trovate esautorate. Noi come la materia che siamo giunte a così bene incarnare nel nostro apparente silenzio di secoli.
Questa operazione suicida,....sarebbe giunta a codificare la 'differenza' quale poi i secoli l'hanno sedimentata espropriandoci del valore, della creatività e del potere che potevamo semplicemente riconoscerci e riconoscere alla materia.
Ma oggi, tutto questo è quasi più vero, e spiegherebbe molte cose riguardo al mantenimento del valore dell'Alterità e il continuo e più o meno taciuto, ma 'visibile' riferirsi ad essa per 'differire' e per differenza che l'elaborazione del pensiero delle donne ha attuato negli anni novanta, a scapito della propria autonomia e al contempo a sostegno del Discorso; del Potere e della genealogia
di questa cultura..
Questo anche se, dall'elaborazione del simbolico materno, si è giunte ad affermarne finalmente (!) anche la carnalità. Una 'scoperta' teorica recente sulla scena rappresentativa del mondo, che per me è sempre stata una ovvietà, ma che non ha prodotto consapevolezza sufficiente a 'materializzare' tutto l'esistente. E' servito solo a riaffermare una differenza non condivisibile e a creare nuovamente lo steccato del differire. Ci siamo nuovamete 'specializzate in materia'.
La messa in discussione di questo tipo di alterità, per 'differenza' (e 'differire' dalla materia) con tutti i suoi corollari ai vari livelli di senso, mi appare sempre più essenziale e necessaria alla nostra politica, se vogliamo uscire dalla complicità nell'instaurarsi e perseverare nella scissione, e alla possibilità quindi di una nuova scelta per tutta la specie.
........nella prospettiva di riaccedere alla coincidenza sapiente di materia/pensiero che nel nostro corpo di donna avrebbe sempre potuto avere testimonianza , ma che non siamo state ancora capaci di riconoscere con fierezza e perciò di attribuirle sufficiente valore in sè, così da consentire a tutta la specie di condividerla, come di fatto oggettivamente è, "naturalmente".


Per me l'inascolto è proseguito fino ad ora, e si è interrotto grazie allo sguardo in sintonia di Nicoletta Poidimani e al rapporto con lei e con alcune altre donne disponibili a sperimentare questo nuovo cammino propositivo di immaginari creativi e plurimi. Attraverso l'ascolto e sperimentazione di ciò che ciascun apporto soggettivo delle nostre 'reali' e 'parziali' diversità potrà mettere in campo. Dando spazio a segni ed immaginari rimasti sepolti o ignorati...E soprattutto da creare e rendere possibili.


Vediamo dunque se decostruire è bello! Male che vada, pare che ora trovi orecchie in ascolto.
Tre sono gli ordini di interrogazione da cui riparto per indagare, destrutturare e aprire a nuovi sguardi la questione della 'differenza' (nelle sue due accezioni, quella 'sessuale' e quella 'di genere'), e sulla conseguente metodologia rigidamente bi-differenziata di elaborazione di pensiero, pratica e gestione del mondo che aprirebbe alla inderogabile necessità della mediazione (o spartizione del potere ?) con 'l'Altro'.


1° Bi-differentia ut imperat !(ovvero: la differenza ad uso disuguaglianza)
Premetto che quando e spesso 'differenza sessuale' e 'differenza di genere' vengono scontatamente fatte combaciare, segnalano un tentativo di conciliazione tra naturale (?) e culturale che nasconde qualcosa da indagare. Ciò avviene infatti in presenza di quello sguardo culturale, solo apparentemente neutro e 'oggettivo', che ha interpretato e incasellato le significanze biologiche (o meglio 'genitali' e perciò esclusivamente legate alla riproduzione della specie) della sessuazione per attuarne una gestione socialmente 'funzionale' al proprio sistema di valori ma, soprattutto, al proprio 'regime' sociale e di gestione del potere.
L'attribuzione di significanze, capacità, specificità, valori alle due sessuazioni genitali appare allora 'naturalmente' determinata, perché funzionale alla gestione delle differenze come specializzazioni sessuate estremizzate e dicotomizzate 'entro' la riproduzione della specie. E' così che la 'sessualità' non solo non ha più voce in capitolo se non 'combaciando' perfettamente con la genitalità procreativa dei 'due generi' culturalmente definiti, ma assume voce e parole e significato e perciò esistenza, solo entro le categorie della 'differenza di genere'.
Ma poiché di fatto entro questo e nessun altro percorso storico siamo state costrette e ci siamo 'formate', quelle attribuzioni, capacità, specificità e perfino propensioni sembrano essere e sono divenute realtà inequivocabili. E' stata per noi (e nel 'differire' da noi anche per l'Altro) millenaria pratica storica, esperienza quotidiana.
Per questo, ma solo per questo, la "differenza" esiste davvero!
La sessualità è altra cosa, soprattutto non è definibile......
Non potevamo che partire da qui. Siamo partite da qui.
Ora ho voluto andare oltre.

2° Simbolico della Madre: il 'secondo sesso' ha il suo contraltare al Fallo!
L'ovvia constatazione dell'esistenza ed esperienza storica e pesantemente reale di e dentro questa specifica 'differenza di genere' (contrabbandata come naturale 'differenza sessuale') ha potuto e ha voluto (?) avallare acriticamente quello stesso differenzialismo estremo e coatto, con tutto il suo corollario di ragione e scissione duale; ha risimbolizzato un genitalismo (incentrato sulla funzione riproduttiva) trascendentale, in un nuovo raffinato conciliantissimo e seduttivo conflitto di potere Dueversale.
Di fronte al 'primo' sesso, e i suoi significanti ed intendimenti - così differenti perché già così coattivamente differenziato esso stesso - il 'secondo sesso' non può dunque che differenziare i suoi propri, che diventano (e restano) di sua esclusiva competenza e perciò non sono spartibili, né modificabili, né condivisibili. Ed esplicita tutto ciò con dovizia e parole alate, come mai fino ad ora. Ciò ha dato certamente forza e baldanza alla categoria culturale del 'genere' donna. L'uniblocco simbolico (il simbolico della madre) si può affiancare a pieno diritto e potere a quello fallico...

Ma così questo 'secondo sesso' entra nella stessa logica dello sguardo culturale che ha creato 'queste' specifiche premesse differenzialiste. E' entrato nella stessa logica di una elaborazione simbolica rigida del differenzialismo fondamentalista, usando i suoi stessi strumenti ed intendimenti: quelli che hanno voluto e prodotto la divaricazione tra materia e spirito, quelli che hanno estremizzato dualità inconciliabili a tutti i livelli, quelli che affermano la Differenza perché amano il conflitto (e il potere). E hanno usato 'La differenza', per neutralizzare, cancellare, controllare e rendere invisibili le reali e parziali diversità con la loro carica di possibili aperture, sperimentazioni, modificazioni. Le diversità sono pensiero debole rispetto a fondamentalismi in cerca di potere.
Infatti la Madre simbolica avanza sulla fallica scena del Patriarcato per conquistarsi ed assicurarsi la sua più che meritata e dovuta 'metà del cielo', e lo fa, e lo può fare, solo entrando nella logica di affermare anche per il 'secondo sesso' un Universale forte, potente, autorevole tanto quanto quello dell'Altro. E per darsi visibilità fa leva, ed esalta, proprio quella figura del femminile fin qui 'perdente' entro la spartizione e l'antagonismo di potere con cui si è gestita da sempre la riproduzione della specie (e perciò la conduzione del mondo). Ciò ha rimesso a fuoco una univoca lettura e pratica della materialità del corpo femminile (e anche maschile). Regalando al corpo della donna il sostituto simbolico di 'una sua funzione' (quella materna e perciò relegandola nuovamente alla dualità rigida e riproduttiva della 'differenza di genere'), può prevedere (lasciando intendere che non è interessante ciò che il corpo nel suo complesso è ed esperimenta materialmente e soggettivamente) solo un'unica modalità di rapporto di questo corpo col mondo e con se stesso... e soprattutto con L'Altro della riproduzione, con l'Altro del Materno.

3° Pratica dei 'differenziati' nella casa comune.
Lo esplicita bene la pratica di mediazione e contrattazione unidirezionale che questa differenza (unica e maternale - il materno praticato del corpo lasciamolo alle incolte..) si è dovuta gestire in questi ultimi anni dentro ogni tipo di struttura istituzionale e istituzionalizzata di questa 'gestione' di questo unico mondo possibile. E non solo perché esso appare come l'unico esistente e funzionante (cosa peraltro altamente realistica, come lo è la constatazione dell'esistenza reale della 'differenza'), ma perché lo si vuole unico nella possibilità e desiderio di una presenza 'alla pari', se non più 'uguale', in una gestione del Due più favorevole, in un progetto di esistenza vincente anche per le donne. Dico 'vincente' e dico 'anche'.
Cosa c'è di cambiato dalla logica culturale data? Non certo quella del potere, a cui accedere finalmente (non ditemi che è 'solo' simbolico, perché solo il simbolico dice il potere e solo così può agirlo).

Cosa c'è di cambiato in questo 'nuovo' femminile se non di esplicitare, forse anche in modo 'differente' (ad andar bene la chiamano mediazione, ma anche il 'mercato' ha la sua parte) lo stesso dualismo che qualsiasi 'identità fortemente autoreferenziale' mette in campo per affermarsi e 'distinguersi' nei confronti dell'Altro e delle Alterità?

Aprire nuovi sguardi, dicevo. Sulla consapevolezza che il tipo di differenzialismo fondamentalista a noi dato da praticare non solo è fucina di illibertà e conflitti grandi e disperanti per ogni soggettività che cerchi corpo ed espressione davvero propri, ma radice di quelle nefandezze, ingiustizie e conflitti che la specie umana trova così 'naturali' e congeniali alla specie da riprodurli ostinatamente nella cultura e nella 'punizione' delle diversità da questa.

Il movimento delle donne ha messo in luce che esistono di fatto 'valori' che il femminile praticato da secoli ha mantenuto ed elaborato per la sopravvivenza della specie e per rapporti umani decenti. Ha basato su questa consapevolezza la propria autorevolezza dello stare e praticare il mondo. E si è appropriato anche giustamente, di tali valori, su cui costruisce ora la propria autorità e specificità dell'essere e dell'agire nel mondo. Ma la specificità di un percorso storico coatto e che perciò realmente appartiene solo alle donne, sembra ora servire ad affermare la 'differenza' culturale che ha reso possibile (ed obbligato) quel percorso. I valori di questo femminile non sono spartibili perché sono di esclusiva appartenenza di chi, avendoli praticati li possiede ab aeterno (e dalle origini).
Se è vero che sono positivissimi e che il praticarli li rende congeniali a chi li pratica, sarebbe il caso di renderli praticabili per tutti.

Per rendere praticabile ogni possibilità positiva che la specie umana nel suo complesso (e soggettivamente, nel parziale di ciascun essere vivente) può mettere in atto, si tratta di renderla praticabile per tutti, senza esclusioni, divieti, proprietà private e modelli uniformanti o omologanti.
Soprattutto si tratta di rompere il dualismo che alterità rigide e binomi estremizzati (la scissione tra superiore/inferiore non è stata scalzata neanche all'interno del 'nuovo' simbolico 'della madre') sottendono in ogni contesto della cultura della specie fin qui.
Condivisione di possibilità plurime di scelte soggettive e non mercato e contrattazioni tra due granitici e conflittuali (e seducenti) mercanti in fiera.

Ho proposto di uscire dal due, di uscire fuori dalle sue categorie differenzialiste, sottraendosi ai suoi segni e al luogo della sua pratica esplicita, ho proposto il 'luogo terzo' della relatività soggettiva, del 'relativo plurale' e quindi parziale di ogni differenza. Ho proposto di indagare come mettere in atto uno 'stato di necessità alla modificazione' per tutti. L'ho intravista nella riedizione di un separatismo accorto e sapiente, quello che si può praticare anche nel mondo di sempre, ma come soggetto 'parziale' in ogni sua differenza e diversità. Un soggetto 'parziale' che si radica nel 'luogo terzo' e non 'due' di niente e di nessuno, fuori dalle categorie duali che ora ancora lo costituiscono. Ce ne dobbiamo assumere la responsabilità e smascherare la nostra complicità.
Se ne può discutere.

(giugno '99)

Ma prima è essenziale partire da un'analisi del presente, calata nella realtà complessiva, ed attenta ai suoi 'segni'. Farsi carico di ciò che il mondo produce, anche dopo il nostro affacciarsi consapevole sulla scena, dopo l'affacciarsi finalmente esplicito di un 'femminile' che dovrebbe portare in sé anche gli elementi di modificazione che il movimento delle donne ha elaborato e prodotto. Per capire, intendere, criticare, modificare e inventare...

Ci siamo chieste spesso quali effetti e mutamenti abbia prodotto il nostro percorso di consapevolezza e il nostro agire sull'agire del contesto sociale e simbolico, quali nuovi avvistamenti e spostamenti si siano prodotti sul fronte del 'potere' patriarcale e/o della sua messa in discussione.
Le risposte ci sono state. Varie, differenziate, a volte minimaliste (emancipazione e pari opportunità comprese), a volte trionfaliste. Riassumerei queste ultime in quattro punti generali:


1° - il 'femminile' ha preso spazio e visibilità,
2° - il 'patriarcato' è morto.
3° - il femminile agisce in autorità e potere
4° - E il 'maschile'?


1° - La suggestione offertami da una donna durante un'incontro milanese sulla guerra nei Balcani che si interrogava sul significato di antiche parole in stravaganti nuovi accostamenti (ossimori come: guerra umanitaria, bombe intelligenti) mi ha permesso di iniziare a darne una lettura collocata entro la dualità irriducibile che tali parole e significati sembrano riaffermare.
La 'levitazione' del femminile e la sua introduzione a fianco del maschile sulla scena del mondo, lo 'visualizza' per accostamento, esacerbando le opposte 'differenze' e lasciandole così ineludibili e al contempo inesplicabili a livello di senso complessivo.
La guerra è 'umanitaria' e le bombe sono intelligenti, dove s'intende che esse non uccidono (salvo spiacevoli errori)!
In entrambi i casi i due versanti della stessa medaglia si giustificano reciprocamente: fare la guerra è giusto poiché è umanitaria e, se umanitari siamo, possiamo fare la 'giusta' guerra. E' un tipo di giustificazione di cui prima il patriarcato non aveva certo bisogno. Prima pensava solo a se stesso e il suo Io era sufficiente a declamarne le ragioni, sante allora, ma non certo umanitarie. Non certo a favore e preservazione della carne e della vita (allora si preferiva giustificarle con la salvezza 'delle anime'!), ma a favore del proprio Dio e del proprio potere. Esplicitamente.
Ora il suo agire potere (che resta, anche se sapientemente celato, uguale a se stesso) trova giustificazione pacificante nella compresenza e 'pari dignità' del femminile e perciò ancor più giustezza. Giustificazione pacificante che viene del resto agita solo in contesti ove il chi detiene il potere non si esplicita ancora dentro una valutazione o una realtà già esistente di 'maggiore e minore' rispetto ai contendenti aspiranti al titolo di 'maggiore' (vedi articolo di Pat Patfoort sul Manifesto). Il candidato migliore a questo titolo sarà naturalmente colui che assomiglia di più alla propria visione ( a quella di chi si mette nella posizione di giudice e fallace 'mediatore') e vi si uniformerà.
La differenza di trattamento 'umanitario' per kossovari e kurdi e ci metto anche i serbi, per esempio, dicono molto nel merito della scelta effettuata 'a monte' da parte di chi già si reputa 'maggiore' e riconosce e rispetta come 'maggiore' chi, intercorso con lui un 'patto' di uguaglianza, gli assomiglia. I suoi 'fratelli' di potere (i turchi per esempio). Antoinette Fougue dice giustamente che il patriarcato è divenuto un 'fratriarcato' (o anche 'figliarcato').
Fratelli 'uguali' per potere simile e condiviso, dico io.
Figli (maschi) di Madri preservatrici del loro valore ( il maschile).
(Unico segno positivo: le loro manifestazioni perché i 'corpi' dei loro figli non vengano mandati alla guerra e alla morte. Non le ho ancora viste manifestare per le loro figlie, stuprate da quegli stessi loro figli).

La contraddizione tra i due versanti, quello del maschile e quello del femminile, viene dunque accettata (non ne siete rimaste shockate? siete riuscite a conciliare il vostro cuore e la vostra mente? non avete pensato anche voi a un 'luogo terzo', dove queste dualità divaricanti e al contempo complici non possano più spadroneggiare?).
Perché il femminile, agendo anche grandiosamente come tale, si fa nuovamente complice dell'inevitabilità e irriducibilità della contrapposizione e di quel potere. C'è chi ha il potere di 'sporcare' e chi questo potere lo rende possibile 'pulendo'. Sempre gli stessi due. Ab aeterno.
Ora dunque il potere è ancora più ammantato di giustizia, con la presenza al suo fianco, 'finalmente' parlante, anche a livello simbolico, e agito in autorevolezza del 'femminile'. Ma solo perché e quando ciò fa comodo a scopo di potere. Quello di sempre.


2° - Non è dunque un caso che il famoso patriarcato ('morto'!?) così non si nomini più (neppure per le donne, anche se solo quelle occidentali di razza bianca, e in condizioni di saperlo), dato che il femminile pare abbia preso spazio simbolico forte, almeno nelle menti, nel sentire e nell'agire di alcune.
Ma anche qui parto da un'altra forte suggestione, quella che Nicoletta Poidimani mi offre nel suo desiderio e impegno ad indagare sulla 'globalizzazione' che, come lei dice, vede un nuovo (si fa per dire) Uno prendere spazio di potere sul mondo intero.
Appare evidente che la globalizzazione deve e vuole sottendere e contemporaneamente conciliare le differenze (di cultura, di razza, di condizioni sociali ed economiche e via dicendo) col metodo della loro uniformazione a un 'potere' cosiddetto democratico, ma di fatto solo demagogicamente appiattente e repressivo delle diversità (da lui e dai suoi "fratelli" di potere).
Ma le condizioni reali di tali diversità (dei 'femminili' ogni volta rieditati entro una dinamica di alterità a scopo di potere) restano di fatto invariate e 'dipendenti' dal suo giudizio e dal suo potere.
E' triste constatare che molto spesso le uniche avvisaglie di rivolta da parte dei non consenzienti alla propria cancellazione assumono l'aspetto di frantumazioni tra loro contrapposte. Troppo spesso il loro agire a favore delle proprie radici culturali si trasforma immediatamente nell'avversare quelle degli altri, di tutte le altre 'diversità'. Si tende all'egemonizzazione nell'affermazione della propria superiorità e giustezza. Miseri tentativi di globalizzazione diffusi entro pluralità di identità contingenti. Anche questo è un risultato della strumentalizzazione del rapporto di genere applicato all'Alterità ritenuta 'inferiore', da possedere o distruggere...
Ma nel frattempo il nuovo 'Uno', la globalizzazione culturale basata sul capitale, se ne avvantaggia. Perché questo nuovo 'Uno' ha affinato i suoi metodi, ha affinato e conquistato l'arma del 'femminile'.

Penso infatti che la globalizzazione è il nuovo aspetto di un potere patriarcale che ha inglobato il 'femminile' (e le sue lotte per le varie 'parità') in tutte le sue accezioni: quelle di razza, di condizioni sociali, di classe, di sessi e di cultura differenti (da quell'Uno), continuando a definire quel 'femminile' nella sua debolezza, 'minorità', ed a salvarlo, accudirlo (leggi educarlo) ricattandolo economicamente per ricondurlo ad una 'normalità' rieditata a suo favore.
Una 'normalità' ancora più normale e giusta poiché la nuova presenza simbolica di sguardi ed azioni 'al femminile' edulcora ogni tipo di contraddizione. Anzi, la rende ancor più stabile e ineludibile, come la 'guerra umanitaria'.


3° - Ma il femminile, questo tipo di femminile, ha preso spazio simbolico ed azione legittimata anche in apparente autonomia, senza bisogno di stravaganti accostamenti di parole. Il femminile ora, in modo esplicito e simbolicamente autorevole, si adopra a curare, accudire, preservare cani gatti leopardi e panda, aria, acqua e via dicendo 'natura'. Ha potere su di essa, accudendola.
Un compito 'femminile', quello di dedicarsi alla materia e alla vita, che è entrato ora autorevolmente nel simbolico culturale, nel pubblico dominio (da casalinghe a cosmolinghe, ironizza Nicoletta).
E così gli elefanti sono costretti a farsi fare clisteri e otturazioni dentistiche, le tartarughe, i leoni e gli scimpanzé a farsi corvées da Tour Mediterranée, i delfini sono guardati a vista e li si manda a corsi di danza moderna. Come da brave Madri coi loro piccini ...

Per non parlare poi del potere sulla riproduzione della specie (riproduzione assistita ecc.) che vede le donne sventolare lo stendardo del grandioso 'femminile materno' e pretendere di partorire ad ogni età e ad ogni costo, mentre sull'altro versante impazzano aspirazioni ed esperimenti di clonazione di ogni tipo... Entrambe queste due tendenze entro i poteri e le categorie duali di sempre sono reciprocamente rese possibili da una complicità, adesione e mimetismo all'onnipotenza maschiltecnologica. Onnipotenza che anche il femminile materno ora vuol condividere, restandone però vergognosamente dipendente.
Ma c'è anche del buono.
Ci si adopra per la purificazione di aria acqua ozono petrolio veleni di ogni tipo (anche nei cibi), della sporcizia messa in giro da chi ha il potere di sporcare....
Quest'ultima caratteristica 'femminile' apparsa alla ribalta culturale e simbolica è riconosciuta e finalmente importante per tutta la specie, ma è anche qui costretta nel contrapporsi a un maschile predatorio, onnipotente... Manca poco perché venga coniato un ossimoro come: inquinamento/salubre....
Ma le immagini dei gabbiani intinti di petrolio della guerra del Golfo ripuliti con amorevolezza esemplare da équipes di volontari di entrambi i sessi, le immagini di popolazioni affamate o intossicate, di bambini mutilati, seviziati che vengono curati e nutriti e i relativi commoventi appelli alla solidarietà dicono già.....che 'accostare' è stato anche lodevole, ma non basta.


4° - Perché la 'questione maschile' e il maschile sono (e lo sono sempre stati) palle al piede macroscopiche per la soluzione e risoluzione dei quali non basta certo una superficiale 'messa in crisi dei ruoli' stimolata dalle maggiori libertà delle donne....
La cultura dell'età della pietra, dell'animalità testosteronica maschile ha preso tale spazio e soppravvento da impedire e rendere vano il percorso di civilizzazione cui avrebbe potuto e dovuto tendere la specie umana.
Quella che ormai mi si è rivelata essere la 'mafia' maschile ha in tutti i modi cercato di celare le sue nefandezze e giustificare il suo potere in tre modi: ha tentato un 'riscatto' di sè, basato sul senso di colpa, nell'invenzione della spiritualità (che è senza colpa alcuna) e della religione (che punisce e premia) e ha dato spazio nell'arte alla libertà, al femminile represso, alla bellezza; e infine ha intrapreso testardemente il percorso di un 'progresso'tutto proiettato verso l'esterno (in qualche modo erettivo), che avrebbe dovuto rendere felici tutti quanti coprendoli di doni insperati, che li avrebbe spostati da se stessi e dalle proprie misere vite. Anzi la tendenza è quella di sostituirli, i soggetti e le loro vite reali. Cancellati dal loro stesso potere. Il progresso al posto della civilizzazione, come fuga dalla responsabilizzazione.




LUNA DONNA