VALERIA NOLI: Sono nata a Cagliari nel 1969. Non ho mai
vinto alcun premio. D'altra parte sarebbe
stato strano che me ne avessero assegnato
uno, visto che non ho mai partecipato a nessun
concorso. Però una volta ho fatto un ambo
al lotto, e credo che con questo la Fortuna
mi abbia dato il fatto mio. Mi sento di vivere
come se intrecciassi un tappeto in nodi più
o meno definitivi. Scrivo la mappa dei nodi
già stretti, così che qualcuno un giorno
possa scioglierli, volendo, ammesso che ci
riesca. E se non ci riesce pazienza, tanto
la mappa è in buona parte falsata. Intanto
intreccio e annodo i fili di un passato non
necessariamente remoto. Ma più il passato
è lontano, più il filo è robusto e darà materia
a un bel nodo, articolato e complesso.
Il mio ideale d'arte è la rappresentazione
di un mondo in sé completo e convincente,
ma che contenga almeno uno spunto di incredibilità.
Deve funzionare da promemoria, ricordando
al lettore (se di scrittura stiamo parlando)
il necessario scostamento tra la vita e le
sue rappresentazioni. Perché non è interessante
la descrizione della vita di un impiegato
frustrato, quella la possiamo leggere in
faccia al nostro vicino di pianerottolo in
una sorta di feuilleton quotidiano, festività
escluse.
Sbirciamo invece tra le righe di un racconto
quelli che possono essere i suoi pensieri
segreti, i suoi progetti disattesi, il modo
in cui potrebbe averli trasformati in sogni.
L'arte nutre la nostra indiscrezione.
Naufragi
Niente è impossibile,
tranne ciò che è possibile altrove o altrimenti.
Quegli ostacoli di cui parli con momentaneo
disinteresse alla vita, la catarsi che si
agita
per darti l'illusione di saltare in cattedra
e allontanare questo specchio che non ti
piace,
sono cose d'altri.
Non mentire,
tu non vivi dentro una parola che agonizza,
sotto i colpi feroci del tuo bisturi grammaticale
e astratto,
corda di violino scampato a un mare di naufragi
altrui.
Perché non c'eri, tu, su quella nave che
affondava all'orizzonte di un'isola deserta,
dove ciò che non è stato ti avrebbe voluta
circondare con tutto il dubbio del tramonto.
Forse non te lo ricordi, magari l'hai già
dimenticato,
avevi certamente bevuto troppo.
C'era il vento e anche il mare,
c'erano onde, vele ed acqua,
perfino quello che chiameresti
un dolore un po' insano.
Tu li hai ingannati tutti al solito modo,
fingendo di concederti con tutto il piacere
di annegare,
infine hai creduto fosse meglio vivere.
Avevi solo dimenticato i tuoi bagagli,
DIO, I TUOI BAGAGLI, abbandonati nella stiva,
ma ormai stavi nuotando, nuda e senza niente
addosso.
È stato bello arrivare a terra. Altrove.
Quello è un deserto, e non ci saranno occhi,
non c'è la vita e non c'è la morte.
Né braccia aperte ad accogliere nuove possibilità.
Scampasti al tuo obbligo di reagire
parlando con quella noce di cocco su una
spiaggia
di quarzo rosa.
Il cocco ascolta, tu gli spieghi ancora
che nel bilancio attivo della tua cultura
c'è anche lui,
con il suo latte opulento e nutritivo:
"Voglio dimenticare.
C'è troppa matematica dentro il mio futuro,
e nel tuo,
inconsapevole, tutta la mia possibilità d'amore.
Hai comunque un destino fulmineo: nutrirai
il mio ennesimo naufragio con la più candida
polpa,
che denti
metallici e stridenti squarceranno."
Tra lacrime.
LUNA DONNA |